Teheran teme la rappresaglia. "Se lo Stato ebraico reagirà raderemo al suolo Tel Aviv"

Il presidente Pezeshkian: "Noi costretti a colpire, ma non cerchiamo la guerra"

Teheran teme la rappresaglia. "Se lo Stato ebraico reagirà raderemo al suolo Tel Aviv"
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«L'Iran è in stato di guerra e qualsiasi contenuto a favore del nemico e che indebolisca il Paese è considerato tradimento». È la dichiarazione di fuoco del ministero dell'Intelligence iraniano dopo la conclusione dell'attacco missilistico contro Israele di martedì. E poi ancora: Teheran colpirà «tutte le infrastrutture» dello Stato ebraico se attaccato, è la minaccia lanciata dal capo di Stato maggiore del regime degli Ayatollah, Mohammad Bagheri, anche se il regime «non cerca la guerra, ma la pace e la calma», spiega Il presidente iraniano Masoud Pezeshkian, aggiungendo che «Israele ci ha costretto a reagire».

Trapelano però indiscrezioni interessanti sullo stato degli equilibri di potere in Iran, ovvero che in realtà il massiccio attacco missilistico è stato organizzato e condotto dai Pasdaran nonostante l'opposizione del presidente Masoud Pezeshkian, che per giorni aveva intimato in privato di evitare un'escalation, temendo che Israele mirasse a trascinare Teheran in un conflitto aperto. Lo hanno rivelato fonti anonime citate dal New York Times, secondo cui l'offensiva è il culmine di un pesante tiro alla fune ai vertici delle istituzioni iraniane, con i Pasdaran che avrebbero finalmente convinto la guida suprema, Ali Khamenei, ad approvare i loro piani. Pezeshkian, invece, «non è stato informato dell'attacco fino a poco prima che iniziasse», secondo le fonti dell'editorialista Thomas Friedman. L'ala intransigente del regime, dunque, ha vinto su quella di negoziazione rappresentata proprio da Pezeshkian. Per il quotidiano americano, infatti, a Teheran covava da settimane un malcontento per la strategia attendista adottata nelle ultime settimane: soprattutto per non aver risposto immediatamente all'uccisione di Ismail Haniyeh, e alla più recente uccisione del comandante iraniano, Abbas Nilforoushan, eliminato a Beirut insieme ad Hassan Nasrallah. L'uccisione di Nasrallah avrebbe ulteriormente acceso il dibattito tra i leader iraniani, tra cui il ministro degli Esteri Abbas Araghchi.

Che si sarebbe lamentato di come la «moderazione» dell'Iran fosse stata interpretata dagli avversari come un segno di debolezza.

Ma adesso Teheran aspetta la risposta di Tel Aviv. Sempre secondo il New York Times, infatti, i Pasdaran hanno già preparato centinaia di missili per un secondo attacco, in caso di risposta militare da Israele o dagli Stati Uniti. Pezeshkian, escluso da ogni decisione in merito all'offensiva, e di fronte ai fatti, ha dichiarato, forse per salvare la faccia, che l'aggressione missilistica era un «legittimo atto di autodifesa», e ha avvertito Benjamin Netanyahu che l'Iran «non cerca la guerra, ma risponderà a qualsiasi minaccia».

Fonti citate dal quotidiano americano prevedono anche che Khamenei guiderà la prossima preghiera del venerdì a Teheran, come accade solo in circostanze di grave crisi. L'ayatollah dovrebbe pronunciare un sermone che probabilmente detterà la linea della Repubblica islamica nelle prossime settimane. Ma ieri la guida suprema ha rincarato la dose: «La base dei problemi della regione è la presenza di forze come gli Usa e alcuni Paesi europei che in modo falso sostengono di difendere la pace». Anche Araghchi ha alzato ancora i toni: «L'Iran ha usato solo il suo diritto alla legittima difesa, basato sulla Carta delle Nazioni Unite», ha tuonato.

Teheran ha dunque messo in guardia Washington contro qualsiasi intervento a sostegno di Israele e ha fatto sapere di avere utilizzato solo parte del suo arsenale missilistico. «Se lo Stato ebraico dovesse rispondere, raderemo al suolo Tel Aviv riducendola in cenere», ha minacciato l'ex comandante della Forza Qods, Ahmad Vahidi.

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