Il carisma mai come oggi è cosa rara tra gli artisti. È quel dono di natura che più antidemocratico non potrebbe essere: non lo conquisti, non lo acquisti, non lo camuffi con altro, però il possederlo ti proietta nell'Olimpo degli artisti-dei. È merce rara anche tra gli interpreti di prima classe. Un esempio. Oggi fra i centinaia esistenti, si contano sulle dita di una mano i concorsi pianistici che lanciano sul serio, in testa troviamo lo Chopin di Varsavia e il Cajkovskij di Mosca, per intenderci sono il corrispettivo del torneo di Wimbledon. Già parteciparvi è una chimera, figuriamo vincere. Eppure se facciamo un raffronto tra la medaglia d'oro del 2021 vinta da Bruce Liu e quella del 2015 vinta da Seong-Jin Cho, risulta chiaro che entrambi i giovanotti sono bravi, anzi bravissimi, però Cho affascina, ti inchioda alla poltrona, Liu no.
C'è un aspetto che è il tratto distintivo dei migliori interpreti della Gen Z, la tecnica superlativa. Le mani vanno su e giù per tastiere, di pianoforti e archi, con destrezza. «Già a 12 anni hanno una tecnica di ferro, che non mancava certo agli allora dodicenni Milstein o Ojstrach, però ora questo è comune anche tra musicisti bravi ma non eccelsi. Inoltre si è abbassata l'età in cui si inizia a tenere concerti da soli e con orchestre» spiega Etienne Reymond, al timone di LuganoMusica. Enrica Ciccarelli, presidente della Società dei Concerti di Milano, aggiunge che «hanno una consapevolezza del proprio ruolo sconosciuta ai musicisti di generazioni fa. Sanno quanto sia necessaria la promozione, e talvolta dell'autopromozione, sanno di poter contare su una visibilità planetaria e dunque sono spesso molto attenti ad aspetti che prima non venivano proprio presi in considerazione». Del resto, oggi «incide in modo determinante la confezione del pacchetto, oltre al contenuto» spiega Martin Engstroem, direttore del Festival di Verbier, la manifestazione che ogni estate catalizza fra le montagne svizzere (anche) giovani talenti.
Però... «Sono un po' tutti omologati, manca originalità», lamenta Luisa Longhi delle Serate Musicali di Milano. E così la pensa anche Paolo Arcà, direttore artistico della Società del Quartetto, «la mancanza di tempo non consente un approfondimento ragionato del repertorio». Rispetto al passato - pur con le dovute eccezioni degli artisti che abbiamo indicato - «sono meno preparati dal punto di vista interpretativo, sembrano timorosi di trovare una propria strada interpretativa ben definita perché ciò può comportare un mancato riconoscimento del mondo musicale». E Longhi riflette sul fatto che «si disperdono tra master e corsi vari, anche se ormai cresciuti, ascoltano più i maestri che loro stessi, come se partissero dal presupposto che hanno poco da dire».
Nel nostro servizio abbiamo menzionato le cime assolute della Gen Z. Eppure già la fascia immediatamente sotto sovrabbonda di talenti, per questo la concorrenza si fa spietata, dunque «suonano tanto, fin troppo, limitando il tempo per approfondire nuovi repertori. Forse le agenzie hanno la loro parte di colpa perché li spingono sottraendo tempo alla riflessione e allo studio», ancora Longhi. E così pure Reynard, «la concorrenza ora è mondiale, un tempo c'era una minore esposizione, i giovani musicisti erano più protetti».
Ragion per cui Engstroem è convinto che soprattutto oggi sia importante per un giovane artista «entrare in una rete di sostegno. Questo è ciò su cui ho lavorato per tutta la mia vita professionale. Mi piace scovare i grandi talenti e accompagnarli dall'adolescenza in poi, sostenendoli passo dopo passo evitando che si brucino anzitempo».
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