Washington - Fra le tasse e i contributi elettorali c’è una somiglianza statistica e una grande differenza pratica. Gli uni e le altre devono essere dichiarati entro il 15 aprile, ma di redditi tassabili ognuno cerca di «confessarne» il meno possibile e di «redditi» per le campagne elettorali, invece, più che può. È così che, con anticipo né lodevole né biasimevole ma almeno un po’ curioso, i concorrenti alla Casa Bianca per il 2008 si precipitano a dichiarare quanto hanno incassato nel primo trimestre del 2007.
Gli annunci suonano come una gara d’asta. Tre milioni di dollari, fa sapere il senatore Joseph Biden, democratico del Delaware. Quattro milioni, rilancia Christopher Dodd del Connecticut. Sei milioni, incalza il governatore Bill Richardson del New Mexico. Quattordici milioni di dollari, spara il senatore John Edwards, anch’egli democratico ex senatore della Carolina del Nord. Quindici milioni, lo supera Rudy Giuliani, repubblicano, ex sindaco di New York. E Mitt Romney, ex governatore del Massachusetts sorprende tutti con 23 milioni.
Ma poi tutti si siedono e i concorrenti si rassegnano quando sul podio sale Hillary Clinton, senatore di New York, democratica, con un rilancio record atteso, ma non meno impressionante: 26 milioni di dollari raccolti nel primo trimestre di quest’anno, a dodici mesi della «primaria» che inaugurerà l’«anno elettorale» 2008.
Più alta la cifra, più grossa la voce, più radioso il sorriso stampato sul volto dei concorrenti. Sono tutte somme senza precedenti nella storia degli Stati Uniti, che battono tutti i record. La Clinton, per esempio, ha raccolto il triplo del massimo registrato per un candidato tre anni fa. E non si ferma qui: si precipita a far sapere che altri 10 milioni di dollari sono in via di trasferimento da un suo vecchio «libretto di risparmio», quello per la campagna elettorale senatoriale. Giuliani è terzo, ma si affretta anch’egli a far sapere che i 15 milioni ricevuti finora sono solo l’inizio: lo dimostra il fatto che nel solo mese di marzo gliene sono piovuti addosso dieci.
Facendo poi le somme si arriva a totali da capogiro: si prevede che i candidati «principali» riusciranno ad accumulare almeno 100 milioni di dollari prima che la campagna elettorale cominci ufficialmente. Sono tutti così ricchi da potersi permettere di rinunciare, con un gesto di generosa noncuranza, ai finanziamenti pubblici: non per un riguardo verso il deficit federale accumulato da Bush (anch’esso un record di tutti i tempi) ma perché secondo la legge americana chi fruisce di denaro pubblico deve accettare dei limiti a quello privato che riceve. Uno a uno, dice la legge. Per ogni dollaro del contribuente i privati possono aggiungerne un altro e non di più. Siccome il di più c’è già e copioso come non mai, eccoli tutti a dire gaiamente «bye bye» al contributo pubblico: si arrangeranno con la cornucopia privata.
Attenzione, però. Come il lettore accorto avrà già scoperto, dall’elenco dei «grandi» manca un nome: Barack Obama, che tace. Si comporta come se fosse paralizzato da una abbietta povertà. Che i suoi simpatizzanti all’estero si consolino: Obama fa solo pretattica.
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