"Horcynus Orca", capolavoro di una lingua fluida ed eterna

Iniziato nel 1956, uscì nel febbraio '75. Da Omero alla Bibbia in giù, è un tuffo nel mare della letteratura

"Horcynus Orca", capolavoro di una lingua fluida ed eterna

«Perché vede, noi siamo sul libro d'oro delle banche; basta poco per finire sul libro di piombo...». Con queste parole il vecchio Arnoldo Mondadori confessava la sua preoccupazione a Giancarlo Buzzi, scrittore e consulente; alla fine degli anni Cinquanta nella casa editrice milanese si progettava la traduzione dell'impervio Ulysses di Joyce e non sembrava esattamente un affare, dal punto di vista economico.

Prima di trarre conclusioni affrettate sulla munificenza della casa di Segrate, però, meglio ricordare che nello stesso arco di tempo la Mondadori decideva di investire su un romanzo sterminato, multilinguistico, composto di una quantità inverosimile di storie intrecciate (quarantanove secondo la Treccani, cinquantasei per il critico letterario e grande sponsor dell'opera Walter Pedullà, recentemente scomparso) che doveva ancora essere scritto, spingendosi fino a versare all'autore una specie di stipendio affinché lo portasse a termine. Cosa che avvenne giusto cinquant'anni fa, nel febbraio del 1975.

Si tratta di Horcynus Orca, magmatico capolavoro di uno scrittore e giornalista siciliano che si era laureato sulla poesia di Hölderlin, Stefano D'Arrigo. Messo in cantiere nel 1956, titolo provvisorio La testa del Delfino, tre anni dopo un suo estratto vinse il premio Cino del Duca; nella giuria c'era Vittorini il quale nel 1960, contro la volontà dell'autore, pubblicò cento pagine del romanzo sul Menabò, la rivista che dirigeva con Calvino. L'eco fu talmente grande che ne nacque un'asta letteraria da cui uscì vincitrice la Mondadori, che sperava di mandarlo subito nelle librerie. Bisognerà aspettare, invece, quattordici lunghi anni durante i quali D'Arrigo rielaborò incessantemente il manoscritto e lo arricchì fino a raddoppiare il numero di pagine, che da 600 divennero 1200. Leggenda vuole che l'autore scrivesse disteso a terra con una biro di quattro colori diversi, indossando una tuta, e poi disponesse il frutto del lavoro, con delle mollette, su corde per stendere la biancheria tese da una parete all'altra dello studio. Infine gli diede un titolo fenomenale, Horcynus Orca: con un'acca elusiva e un'ipsilon ribalda irrintracciabili nelle tassonomie di Linneo.

Il romanzo racconta la vicenda di un soldato della regia marina, 'Ndrja Cambrìa, che approfitta del caos seguito alla resa incondizionata all'esercito alleato dell'8 settembre del 1943 per tornare a casa; dove casa è uno dei luoghi più carichi di significato d'Europa, Cariddi, il promontorio siciliano che si affaccia sull'opposto mostro Scilla, calabrese. La devastazione prodotta dalla guerra si sovrappone alla spettacolare apocalisse di un mondo arcaico fatto di pescatori impegnati a lottare contro le «fere», genìa di delfini malvagi che rompono le reti, aggravando la miseria universale; di bande di donne libere e irriverenti, le «femminote», nascoste nella macchia mediterranea; e poi, naturalmente, del bestione marino del titolo in cui si rinvengono le tracce dei molti organismi natanti che la letteratura ha trasformato in allegoria: dal Leviatano della Bibbia (e di Hobbes) alla balena Moby Dick, senza dimenticare il pesce catturato e perso de Il vecchio e il mare di Hemingway, che D'Arrigo lesse e rilesse durante la stesura del romanzo.

L'orca di D'Arrigo ha una ferita sul fianco: «complesso di castrazione», sentenziò Giacomo Debenedetti, mettendone a nudo l'anima freudiana eterodossa, perché convive tranquillamente con una sessualità aorgica e polimorfa. Horcynus Orca è anche un romanzo gloriosamente femminista, di un femminismo malandrino e per nulla puritano; e forse è un romanzo arcobaleno, vista l'ossessione del protagonista per il tipo del «femminomo», nonché fluido, perché gli omosessuali vi vanno a donne e viceversa... Ma, beninteso, si fa prima a dire quel che Horcynus Orca non è; opera-mondo quant'altre mai, le lenti con le quali è stata messa a fuoco vanno da Omero alla Bibbia in giù; poliedricità moltiplicata dalla grana della prosa che mescola italiano letterario, macaronismo dialettale e prestiti dalle lingue di interscambio, l'inglese e il francese. Figurarsi se non è anche un metaromanzo, un romanzo-saggio, un'euforica parodia di se stessa e una catabasi acquatica nella quale annega e si eterna una cultura meridionale che non tradisce alcun complesso di inferiorità e, semmai, punta direttamente al mito.

I festeggiamenti per il cinquantenario sono stati organizzati in grande stile: è uscita un'edizione celebrativa nella Biblioteca Universale Rizzoli - presentata a Milano il 25 febbraio scorso - arricchita di documenti inediti, di illustrazioni e di una postfazione della professoressa Siriana Sgavicchia che si aggiunge alla celebre prefazione di Walter Pedullà e a un saggio di Giorgio Vasta. Grazie alla collaborazione con le Università degli Studi di Milano e di Pavia i documenti prima consultabili solo a Milano, nei locali della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, saranno digitalizzati e resi accessibili agli studiosi. È inoltre indetto un concorso per le scuole superiori della Lombardia, del Piemonte e della Sicilia incentrato sul capolavoro di D'Arrigo facente parte di una serie di eventi, «Horcynus Orca 50», che porteranno il romanzo in giro per l'Italia. La Biblioteca Nazionale di Roma ha dedicato una giornata di studi a D'Arrigo, e a Firenze il Gabinetto Vieusseux ne terrà due, il 20 e 21 marzo. La parte del leone, però, la farà il Meridione: a Cosenza e a Messina l'orca assumerà i contorni dell'animale totemico, mentre a Taormina dominerà, anche con spettacoli al Teatro Antico tratti dal romanzo, il Taormina International Book Festival. Il sipario si chiuderà a novembre, a Milano, con una mostra.

Niente male, per un'opera che quando

uscì divise l'Italia, ma che oggi, ormai lo si vede bene, più che imitare i capolavori modernisti di inizio Novecento anticipa le ragguardevoli cattedrali postmoderne dei vari Pynchon, Bolaño, Wallace e Mircea Cartarescu.

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