I 30 anni di «Capital» a Milano

Milano Quando per la prima volta uscì Capital, trent’anni fa, sembrò quasi un insulto. Perché, assieme alla copertina di Panorama sul reflusso, sul ritorno alla vita privata, rappresentava un brusco, blasfemo congedo dai valori degli anni Settanta. Prima di allora, il ricco era sempre colpevole, la gente manifestava per l’Angola, si politicizzava ogni cosa, si scendeva in piazza per tutte le cause del mondo. Poi uscì Capital che diede il verde al semaforo degli anni Ottanta. Che osò l’elogio del capitale, che sdoganò chi lavorava per costruirsene uno, che, di fatto, autorizzò l’individualismo e il desiderio. Che diede la mappa del vivere senza colpa. Capital, con i suoi primi piani in copertina, è stata la prima rivista ad annunciare gli Ottanta e poi a raccontarli, aprendo la strada a chili di stampa dello stesso genere che ancora oggi luccicano nelle edicole. E negli stessi anni, avanzò anche Silvio Berlusconi, che in quel periodo di imperi ne costruì quattro: Publitalia, Mediaset, i giornali, Mediolanum. È con il Berlusconi di quegli anni che il Pil del nostro Paese inizia a volare in alto. È lui che, con infinito candore, mette sotto la lente gli italiani e il loro «sgolosare» per le cose, le belle cose. È lui che solleva quel velo cattocomunista mostrando che, lavorare per sé significa anche lavorare per gli altri, creando economia. È lui che scioglie la vergogna del fare per avere. E guarda caso, trent’anni dopo, cos’è che resiste ancora? Berlusconi e Capital.
Ieri sera al Castello Sforzesco di Milano, il vicepresidente di Class Editori, Paolo Panerai, ha festeggiato il trentesimo compleanno del «suo» Capital. E a festeggiarlo è arrivato anche il presidente del Consiglio. Dopo una giornata politicamente infernale, prima dell’arrampicata, lunedì prossimo, sulle guglie del Duomo per assistere al concerto del suo adorato Charles Aznavour e per raccogliere settecentomila euro da donare alla Fabbrica del duomo per i lavori di ristrutturazione.
Il Cavaliere arriva attorno alle 20.30, dribbla i giornalisti passando da un ingresso secondario, e subito si mette in posa per una foto di gruppo con gli imprenditori. Trecento circa gli invitati: il gotha del mondo delle imprese, dell’editoria e della finanza. C’erano tra gli altri Marco Tronchetti Provera con la moglie Afef, Giorgio Mulè direttore di Panorama, Carlo Rossella, il direttore del Tg1 Augusto Minzolini, Francesco Micheli, Matteo Marzotto, Paolo Zegna, Mario Moretti Polegato della Geox, Piero Gnudi (Enel), Alessandro Pansa (Finmeccanica), Umberto Quadrino (Edison), Pasquale Natuzzi, Mario Resca, Ennio Doris di Mediolanum, Maurizio Costa di Mondadori, Salvatore e Jonella Ligresti, Urbano Cairo, anche i figli di Mike Bongiorno Michele e Leonardo e lo showman Piero Chiambretti.
Berlusconi sul palco parla di tutto, dall’agenda di governo alla finanziaria, le intercettazioni, e soprattutto la situazione della stampa in Italia: «Ho deciso di fare come la Thatcher, che ai tempi mi disse: “È impossibile governare e leggere i giornali. Ho chiesto al capo del mio ufficio stampa di portarmi solo i giornali che parlano bene di me”. Ho provato a farlo anch’io con Paolo Bonaiuti - sorride il premier -, risultato, non ho avuto più il bene di vederlo per due mesi!».

Poco dopo il Cav si siede a cena, allo stesso tavolo con Diego Della Valle, tovaglie bianche e in dotazione le salvifiche salviettine anti-zanzare. Nel menu dai ravioli alle mini sacher; alzando lo sguardo molte cravatte regimental e le copertine storiche di Capital appese nel cortile del castello.

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