I bookmaker? Valutano il rischio meglio degli analisti di Wall Street

È tendente alla perfezione la capacità degli «allibratori» di valutare la propensione al rischio degli scommettitori. Lo assicura uno studio presentato alla Sapienza di Roma da un ricercatore universitario e che ha come soggetto le scommesse su eventi sportivi

I bookmaker meglio degli analisti di Wall Street. La loro capacità previsionale, in rapporto agli eventi sportivi, risulta infatti essere molto buona, con tendenza alla perfezione: le quote espresse dal mercato delle scommesse sugli eventi sportivi in Italia rilette a posteriori sono previsioni efficienti quasi al cento per cento dei risultati. Praticamente il mercato riesce a interpretare in maniera corretta tutte le informazioni disponibili. Naturalmente ciò non vuol dire che i bookmaker sono in grado di prevedere l'esito delle partite, ma semplicemente analizzare perfettamente il comportamento localmente propenso al rischio degli scommettitori.
È questo uno dei dati più interessanti esaminati da Marco Rossi, ricercatore universitario dell'università la Sapienza di Roma, che ha presentato in un seminario accademico la sua ricerca sulle scommesse sportive, in special modo calcistiche, in Italia, elaborando i dati forniti da Agipronews. Un mercato che, grazie anche alla crescente popolarità, viene visto come un modello, un microcosmo, da cui trarre spunti di analisi per contesti diversi.
L'analisi, riferisce Agipronews, è stata condotta sulla comparazione delle quote fornite da tre bookmaker italiani nella stagione 2007-2008 (867 osservazioni) e nella serie di dati forniti da un singolo bookmaker nelle stagioni dal 2002 al 2008 (6369 osservazioni), limitatamente alla tipologia «1X2», ovvero alla previsione secca su vittoria, pareggio o sconfitta.
La ricerca si interessa anche di fare delle ipotesi di «utilità» del gioco. Certo, non si gioca solo e unicamente per la vincita in sé, ovviamente ci sono altre attrattive come il divertimento, come forma di aggregazione e sfida con se stessi e gli altri. In particolare nel modelleo di gioco della «scommessa», che mette in palio vittorie contenute ma consente di mettere in gioco la propria abilità in competizione con altri soggetti. In questo caso lo scommettitore valuterà la «localizzazione» del rischio e riterrà accettabile una scommessa solo se l'eventuale perdita è minima e non mette a rischio la sua ricchezza iniziale. L'altro modello, quello della «lotteria», presenta scarso rischio e scarsissima possibilità di vincita, ma con premi consistenti (posta minima e vincita potenziale difficile ma ingente).
Lo studio ha anche evidenziato il comportamento neutrale del bookmaker, che non è interessato a indirizzare il gioco ma propone unicamente la quota iniziale, su indicazioni provenienti dal mercato, limitandosi poi a gestire il rischio.

Infine lo studio, più che dare risposte, pone ulteriori domande: si può applicare lo stesso modello di propensione al rischio in altri contesti? Si può, ipoteticamente, paragonare anche gli esperimenti di laboratorio come «scommesse»? Quanto è forte la neutralità o l'avversione al rischio in altri soggetti economici? Al seminario erano presenti molti docenti e qualche studente, forse interessati ad annotare un metodo per «vincere facile», e rappresentanti degli operatori e dei Monopoli.

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