I contratti di lavoro di Allah. Cosa pretendono gli islamici

Riposo al venerdì, pause per pregare e menù "coranico": ecco le richieste alle nostre aziende

I contratti di lavoro di Allah. Cosa pretendono gli islamici

Si avvicinano molto alle rivendicazioni sindacali. Fossero un po' più smaliziati, i lavoratori musulmani inscenerebbero manifestazioni di piazza, scioperi, minacce di astensioni. In fondo anche le richieste di condizioni di lavoro legate alle sacre regole dell'islam possono ben confluire in una piattaforma e pesare sui tavoli di molti imprenditori. Operai che chiedono di assentarsi un'ora il venerdì per la preghiera comunitaria. Oppure vogliono una stanza per le invocazioni quotidiane ad Allah, magari tranquilla, riservata e rivolta alla Mecca. Immigrati che domandano agevolazioni per il mese di ramadan o ancora questo è il caso più frequente una mensa aziendale rispettosa dei precetti coranici: niente maiale e le altre carni lavorate secondo le regole «halal». In Francia, culla del laicismo e antesignana del multiculturalismo, dove tutte le religioni vengono trattate (almeno sulla carta) con pari dignità e altrettanto distacco, l'islam mette in croce le imprese. Secondo l'Osservatorio dei comportamenti religiosi nelle aziende francesi, ente pubblico che monitora queste pratiche, il 65 per cento dei dipendenti fedeli a Maometto domanda che i datori di lavoro rispettino scrupolosamente i dettami del Corano. Erano molti meno prima degli attentati del Bataclan, della strage di Nizza e dell'agguato all'ottantaseienne padre Jacques Hamel, sgozzato in chiesa vicino a Rouen.

L'Italia non è dotata di analisi simili. Non le fanno lo Stato, gli imprenditori, i sindacati. Mancano numeri ufficiali sui lavoratori musulmani; del resto, la religione attiene a una sfera tutelata dalla riservatezza. Secondo l'ultimo Rapporto immigrazione della Fondazione Migrantes, nel 2015 c'erano 2,4 milioni di occupati stranieri (10,5 per cento del totale, quasi tutti dipendenti), di cui 1,6 milioni di extracomunitari. Si può presumere, in base alle provenienze, che almeno un milione siano i musulmani. Da loro arriva una lunga serie di richieste. I pilastri dell'islam sono cinque: rendere la testimonianza di fede, pregare cinque volte al giorno secondo un preciso calendario, versare l'elemosina rituale, digiunare nel mese di ramadan dall'alba al tramonto, recarsi in pellegrinaggio alla Mecca almeno una volta nella vita. Tradotti sul luogo di lavoro, i pilastri si trasformano in almeno sette richieste specifiche, e non sempre accoglibili in pieno. Venerdì giorno festivo. Diritto a partecipare alla preghiera comunitaria nei luoghi di culto il venerdì a mezzogiorno. Rispetto delle altre festività, in tutto una decina, come la Rottura del digiuno e il Sacrificio di Abramo. Pause di 15 minuti per le cinque preghiere rituali negli orari prescritti e in spazi aziendali adeguati. Permessi straordinari per i pellegrinaggi. Riduzioni d'orario, alleggerimento delle mansioni, agevolazioni per le richieste di ferie nel mese di ramadan. Infine, mense con vivande rispettose dei divieti e degli obblighi imposti dal Corano quanto a tipo di carne e modalità di macellazione. Nell'Occidente cristiano che ha combattuto il feroce Saladino non sono pratiche che trovano immediata accoglienza. Ma nell'Italia pragmatica e flessibile, fatta di artigianato e aziende medio-piccole, questa tensione s'avverte meno. «Siamo stati i primi a concedere ai dipendenti musulmani una stanza per le preghiere quotidiane», ricorda Massimo Bottacin, vicepresidente e responsabile delle risorse umane alla Castelgarden (macchine per giardinaggio) di Castelfranco Veneto, provincia di Treviso.

IL VADEMECUM

«Era il 1997. La nostra produzione è per l'80 per cento stagionale, concentrata nei cinque mesi più freddi. Con la disoccupazione al 3 per cento, era impossibile trovare manodopera italiana disposta a fare questi turni. Gli assunti erano quasi tutti africani e musulmani che stendevano i tappetini per la preghiera negli spogliatoi. Anche il menù aziendale è stato adattato alle loro restrizioni alimentari. È una questione di convenienza: loro trovavano lavoro e possibilità di integrazione, noi avevamo lavoratori fidelizzati».

«A dispetto dello stereotipo del veneto leghista e razzista sottolinea Bottacin - qui non si sono mai verificati episodi di intolleranza legati ad aspetti religiosi. Ora, dopo la crisi, la pressione dei lavoratori stranieri si sente meno perché anche da queste parti tanti italiani sono disoccupati. Tuttavia conosco molto bene i Paesi baltici perché abbiamo aziende in Svezia e direi che lassù i problemi sono maggiori. Sono pentiti di avere aperto le porte indiscriminatamente senza una vera integrazione che da noi invece è maggiore». A Treviso il sindacato ha posto un problema diverso, quello della sicurezza nel mese di ramadan. L'anno scorso la Cgil locale, in base a un protocollo analogo sperimentato in Umbria, ha diffuso un vademecum per prevenire eventuali rischi legati al rigido digiuno. Migliaia di lavoratori dall'alba al tramonto non toccano acqua né cibo e la perdita di lucidità potrebbe rappresentare un pericolo per sé stessi e i colleghi. «L'Inail dovrebbe attivare protocolli specifici dice Nicola Atalmi, della segreteria provinciale Cgil -. I primi a rassicurarci sono comunque stati gli imam della zona: un musulmano che sta male può infrangere il digiuno. Le imprese in genere sono favorevoli a trovare accordi magari informali per le mense o il recupero del tempo impiegato nella preghiera. Sulle questioni religiose, più che ostacoli per i musulmani, a me piuttosto è capitato di sentire qualche islamico lamentarsi delle bestemmie dei veneti. A loro dà davvero fastidio, sono molto sensibili».

ACCORDI A MACCHIA DI LEOPARDO

Uno studio del professor Francesco Ricciardi Celsi, docente alla Lumsa di Roma, ha setacciato la banca dati del Cnel alla ricerca di intese tra le parti sociali. Non esistono testi organici che trattino le condizioni dei lavoratori musulmani, ma in vari contratti nazionali di categoria (lavoratori domestici, dipendenti di cooperative sportive e di autonoleggio, dipendenti di imprese artigiane alimentari, lavoratori del tabacco, installatori di impianti privati) vengono disciplinate alcune concessioni per chi professa l'islam, in particolare riguardo le giornate festive e i permessi straordinari. Si cita anche un accordo quadro fra Cgil-Cisl-Uil e Confindustria Monza e Brianza (ora confluita in Assolombarda) che tra le «buone prassi per l'integrazione» cita il rispetto della libertà religiosa senza però dare indicazioni dettagliate sulle azioni da compiere. Gli accordi dunque sono a macchia di leopardo, a seconda dei territori e dei settori. La presenza di lavoratori musulmani è concentrata in Lombardia, nel Triveneto e in Emilia Romagna e in alcune attività produttive: aziende meccaniche e metalmeccaniche, agricoltura, edilizia, servizi alla persona. Una regolamentazione nazionale è complicata anche dalla mancanza di una intesa tra Stato e islam, religione priva di una rappresentanza unitaria. «È giusto che la materia venga regolata da accordi aziendali e non nazionali, a volte anche taciti: ci si fida sulla parola», conferma Kurosh Daneesh, responsabile dell'Ufficio immigrazione della Cgil, iraniano da 40 anni in Italia. «Le situazioni sono molto diverse ma in genere noi constatiamo una reciproca comprensione. I datori di lavoro hanno interesse a soddisfare i dipendenti, soprattutto nelle piccole imprese. Menù senza carne di maiale e permessi per la preghiera da recuperare a fine turno sono abbastanza comuni nelle realtà produttive ad alto tasso di lavoratori musulmani». Aggiunge Daneesh: «C'è attenzione anche per il ramadan perché nessuno vuole lavoratori che non si reggono in piedi. La Electrolux di Pordenone concede permessi retribuiti anche per sbrigare le pratiche burocratiche legate a permessi di soggiorno e cose del genere. Molti datori consentono di accumulare le ferie in due anni perché a volte il biglietto aereo costa come un mese di stipendio; in quel periodo i musulmani possono eventualmente compiere il pellegrinaggio rituale.

In cambio, nelle aziende che producono a ciclo continuo, essi garantiscono i turni nelle feste cattoliche. Quindi i musulmani fanno comodo anche ai cristiani. Si tratta sempre di un incontro tra convenienze reciproche».

Stefano Filippi

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