I delittacci italiani seducono l’America

Molti scrittori statunitensi, da Cottonwood a Lansdale, da Fulmer a Willocks, studiano i casi più scottanti (e irrisolti). In cima alle loro "preferenze" il mostro di Firenze e il delitto di Perugia

I delittacci italiani seducono l’America

Strano Paese gli Stati Uniti. Gigante patriottico dello scacchiere internazionale al di fuori dei propri confini, nazione di individualisti sfrenati all’interno. Affascinato dalla bellezza e dall’intrigo della storia europea e, più ancora, di quella italiana, l’americano medio non esce mai dai confini nazionali e, spesso, nemmeno da quelli del proprio stato, restando sordo agli eventi internazionali che non lo riguardano direttamente. Si tratta di una forma mentis non condivisa dalle fasce culturalmente più articolate della popolazione, ma i mezzi di informazione tendono a essere profondamente americocentrici. Sui principali media può approdare qualche episodio di cronaca nera avvenuto in Europa, soprattutto se vede coinvolto un cittadino americano. Alcuni fini narratori americani che abbiamo interpellato in proposito mostrano un atteggiamento singolare nei confronti di ciò che succede da noi sul fronte giudiziario, avvicinandosi al sentire di una massa poco attenta ai fatti esterni e interessata solo alle spettacolarizzazioni televisive della cronaca.

Fa eccezione, e per questo lo citiamo all’inizio, Frederick Forsyth, uno fra i più celebri autori di spy story al mondo. Forsyth è inglese, ma negli Stati Uniti ricevette nel 1972, per Il giorno dello sciacallo, il premio più ambìto nel mondo del giallo e del noir: l’«Edgar Allan Poe». La sua, come ha rivelato pochi giorni fa a un quotidiano italiano, più che una semplice curiosità per la cronaca nera italiana è un’autentica ricerca sul campo. Che lo ha portato a Buccinasco, alle porte di Milano. Lo scrittore sta lavorando al prossimo libro, in cui il lettore dovrà seguire una pista... di cocaina. E gli addetti ai lavori dell’Fbi di Quantico, in Virginia, gli hanno consigliato di mettere il naso negli affari della ’ndrangheta. Senza trascurare i casi Sgarella e Casella...

Molto scalpore sta facendo la vicenda dell’omicidio di Perugia. Ecco come la vede Joe Cottonwood, autore del romanzo culto Le famose patate. «L’assassinio di Meredith Kercher è uno di quegli specchi che riflettono i pregiudizi degli inquirenti. Non esistono prove chiare né moventi credibili. Tuttavia, un pubblico ministero dall’ego sproporzionato insiste nell’incolpare Amanda Knox. In America, una cosa del genere succederebbe solo se si trattasse di una donna di colore. Forse in Italia c’è un tale odio nei confronti degli studenti universitari americani che si danno alla pazza gioia e Amanda verrà condannata non per la sua colpevolezza, bensì per un risentimento popolare nei confronti degli americani ricchi e superficiali. Amanda Knox non mi piace. Mi pare viziata, ingenua e frivola. Il che, però, non è un delitto. Detesto il pubblico ministero, che ha il suo uguale in ogni città americana: un prepotente, fighetto e intellettualmente disonesto a cui importa più di finire in prima pagina che di servire la giustizia. Tutto il mondo è paese. Potere e pregiudizio sono i nemici della giustizia».

Olen Steinhauer, autore de Il turista, considerato da Stephen King il miglior romanzo di spionaggio che non sia stato scritto da John Le Carrè, abita in Europa e ha una posizione più sfumata. «Per quanto siano diversi anni che non vivo più negli Stati Uniti, so che il caso di Amanda Knox ha evocato forti emozioni nel mio Paese e che domina la fortissima sensazione di ingiustizia avvertita ogni qual volta un cittadino americano viene accusato di un crimine in Europa. Un atteggiamento naïf? Certamente. Ma gli americani sono al corrente del fiasco del caso di Mario Spezi a Firenze e di certo tutto ciò non li tranquillizza. Per quanto siano da sempre innamorati dell’Italia, come in qualunque storia d’amore non mancano le zone d’ombra e l’equità del sistema giudiziario italiano si colloca proprio in una di quelle zone.
Ma quello di Perugia non è l’unico, eclatante episodio di cronaca nera citato dai nostri interlocutori. Joe R. Lansdale, uno che di delitti orribili se ne intende, sul piano letterario, dopo aver dichiarato che non lo intrigava per niente, ha aggiunto: «Sono sempre stato affascinato dai crimini irrisolti o da quelli che presentano forti dubbi, malgrado gli inquirenti e la stampa sostengano di avere la verità tra le mani. Pensare che qualcuno abbia commesso un delitto orribile e che, in qualche modo, sia riuscito a farla franca è intrigante. Per questo mi ha sempre interessato il caso del mostro di Firenze, balzato ultimamente alle cronache anche in America. Da quando è stato pubblicato il libro di Douglas Preston e Mario Spezi, Dolci colline di sangue, se ne parla con una certa insistenza. Insomma, ho la sensazione che la gente qui stia inserendo il mostro di Firenze nell’elenco dei misteri irrisolti o parzialmente chiariti, al fianco di gente come Jack lo Squartatore e Lizzie Borden».
C’è pure chi preferisce un approccio più faceto al tema. È il caso di Christopher Cook, vulcanico romanziere di Port Arthur, la località petrolifera del Texas nota per aver dato i natali a Janis Joplin. Cook, un nomade in perenne movimento tra Texas, Messico e Praga, ha al suo attivo il romanzo Robbers per Einaudi. «Il crimine più tragico mai commesso sul suolo italico è l’assassinio di Apollonia, la moglie di Michele Corleone, da parte di Fabrizio, la guardia del corpo. Un evento che ha davvero guastato l’esistenza di Michele, per non dire nulla di quella della stessa Apollonia. In seconda battuta, direi l’assassinio di Aldo Moro nel 1978 oppure gli omicidi avvenuti in un monastero benedettino nel 1327, sui quali ha indagato Guglielmo da Baskerville. Ma, come in tutte le tragedie umane, “Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus”».
Una visione letteraria della cronaca nera comune, in un certo senso, anche a David Fulmer, autore (di origini italiane) del thriller storico L’assassino dei bordelli. «Dato che l’America è essenzialmente un Paese di immigrati, sembra che il meglio e il peggio si distillino da noi, proprio come la nostra lingua è un distillato di tutte le altre lingue. Pensate ai nostri stragisti, ai nostri serial killer, alle nostre enormi organizzazioni malavitose e ai numerosissimi omicidi folli che i tanti canali televisivi di cui disponiamo sono nati per documentare e serializzare. In Mamma Lucia, Mario Puzo ha riflettuto sul fatto che l’abbandono della propria patria ha estirpato una radice vitale dalle coscienze degli emigranti. Il che, a sua volta, ha creato una violenza che ha fatto la storia. Forse ha ragione. Penso che, dal punto di vista criminale, l’America importi, esporti e rifletta tutti gli estremi del comportamento umano, compresi i peggiori crimini».
Tim Willocks, psichiatra, sceneggiatore e autore di romanzi di grande forza e violenza come Bad City Blues e Religion, pubblicati in Italia da Cairo, è cittadino inglese, ma ha vissuto lungamente in America, Paese che conosce intimamente. «L’unico crimine commesso in Italia che sia balzato alla mia attenzione di recente appartiene al passato, alla Seconda Guerra Mondiale. Recentemente, l’ex-nazista Josef Scheungraber è stato dichiarato colpevole dell’assassinio di 14 civili in Toscana nel giugno del 1944. Visto che i militari americani e gli alleati della Nato bombardano i villaggi afghani e si aggirano per quell’infelice nazione alla ricerca di uomini da catturare e uccidere, mi pare che valga la pena di analizzare l’eco di tutto ciò. In secondo luogo, è una scusa per consigliare uno dei miei romanzi preferiti di sempre, uno dei più bei libri mai scritti dal punto di vista di un bambino, Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino, ambientato ai tempi della guerra partigiana in Liguria».

Forse riassume meglio di ogni altro il sentire americano la posizione di David Liss, il bravissimo autore del

thriller L’assassino etico, un libro che descrive mirabilmente una certa America. «Seguo attentamente la politica, ma non mi curo molto dei media popolari. Non vorrei sembrare snob, ma bisogna stabilire delle priorità».

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