da Washington
Vladimir Putin versa olio e acqua sul fuoco della crisi nei rapporti russo-americani. Olio travestito da acqua o viceversa? Se lo chiedono anche a Washington leggendo l’ultima esternazione dell’uomo del Cremlino, che ha per la prima volta evocato direttamente lo spettro della crisi di Cuba che nel 1962 portò gli Stati Uniti e l’Unione sovietica più vicini a una apocalisse nucleare che in qualsiasi altro momento nella Guerra fredda; per poi aggiungere obliquamente che la situazione «grazie a Dio oggi è diversa». Conclusione condivisa da Washington, dove il paragone storico viene giudicato «inappropriato».
Ma le parole di Putin sono di falco e di colomba a un tempo, anche se il solo stabilire quel collegamento è destinato a inasprire la tensione fra le due superpotenze di 45 anni fa. Putin stabilisce il parallelo soprattutto sul piano «tecnico»: la presenza di basi militari, anzi missilistiche, di una potenza rivale nelle immediate vicinanze dell’altra. Come si ricorderà, fu Nikita Kruscev a impiantare delle rampe di lancio per missili a un braccio di mare dalla Florida, sull’isola in cui Fidel Castro aveva stabilito da poco un regime comunista e da pochissimo si era rafforzato dopo la fallita spedizione di profughi cubani armati e addestrati dalla Cia che avrebbe dovuto rovesciare il suo potere.
L’episodio avvelenò il debutto alla Casa bianca di John Kennedy, che non era al corrente dell’operazione e che ritirò l’appoggio promesso. Il successore di Stalin credette giunto il momento di mettere colle spalle al muro un presidente percepito come debole. Dal punto di vista russo la situazione si ripresenta come capovolta: il progetto americano dello scudo antimissilistico comporta infatti impianti in Polonia, molto vicino dunque alla Russia. Bush ribadisce che si tratta di una misura di difesa dal terrorismo mediorientale (e in particolare dall’Iran), Putin la considera una provocazione e un tentativo di «intimidazione» nei confronti della Russia che sotto la sua guida cerca di «ritrovare il suo posto nel mondo».
Il Cremlino annuncia da tempo contromisure, che comprendono la progettazione di «supermissili» e la ripresa della costruzione di quelli a medio raggio messi al bando da un accordo stipulato subito dopo la caduta del comunismo. Ed è su questo che Putin è ritornato nel suo intervento diretto a una platea europea: «Vorrei ricordarvi quanto le nostre relazioni con l’America si siano sviluppate in modo analogo a quello che vide l’Unione sovietica stabilire una base missilistica a Cuba. Anche le tecnologie sono molto simili e simili, sia pure a parti invertite, sono le minacce, questa volta ai nostri confini».
Contemporaneamente l’ennesimo generale russo ha esaltato le «armi nuove» in progettazione o in produzione. Questa volta Nikolai Solovtsov, riferendosi soprattutto a missili a corto e medio raggio. Il giorno prima il suo collega Anatoli Serdyukov, ministro della Difesa, aveva ribadito in un incontro con esponenti della Nato a Noordwijk, in Olanda, che «la Russia non può accettare le controproposte Usa ed è ferma sulle sue posizioni».
Il suo intervento prefigurava però il discorso di Putin che, lanciato il sasso del paragone con la crisi del ’62, ha nascosto la mano ricordando quanto i rapporti fra i due Paesi siano migliorati da allora. Egli mostra di credere che un compromesso sia possibile, a partire magari dalla iniziativa di Mosca di aprire agli americani un sistema di difesa nell’Azerbaigian, una ex Repubblica sovietica direttamente confinante con l’Iran. Le posizioni restano lontane, ma Putin già una settimana fa aveva detto di avere registrato «una certa trasformazione nel punto di vista americano che potrebbe permettere la continuazione del dialogo». Naturalmente Washington continua a ricordare che la progettata installazione non riguarda un’arma offensiva bensì degli «intercettatori di missili».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.