I filosofi viaggiano sul binario giusto

Quattordici lezioni di saggezza di grandi pensatori. In treno o a piedi

«Una mistificazione pseudoestetica, antiaccademica e religiosa scritta da un uomo paranoico». Questa stroncatura della Nascita della Tragedia da parte di un vecchio mentore, naturalmente accademico, fu una delle ragioni che convinsero Friedrich Nietzsche a mutare la sua vita di professore universitario con quella di «filosofo selvaggio». Tra Svizzera, Italia e Francia, con un gigantesco baule che conteneva i fogli su cui scriveva, Nietzsche viaggiava in treno, e lo detestava: odiava il movimento, il continuo traballare, le carrozze non riscaldate, si confondeva, si ritrovava nella direzione sbagliata, vomitava molto, e ci metteva giorni a riprendersi da un viaggio.

Ed è proprio il viaggio in treno, forse, il vero protagonista di Socrate Express: quattordici lezioni di saggezza portatile (Bompiani, pagg. 400, euro 22) di Eric Weiner che racconta quattordici filosofi unendoli con un viaggio - rigorosamente in treno - intorno al mondo, tra Atene, Parigi, Francoforte, Delhi, Kyoto, il Wyoming e Coney Island. Un viaggio filosofico e reale, con aneddoti incantevoli e qualche tragica caduta (perché mai definire il povero Marco Aurelio uno «spazzino della saggezza»?), in cui l'autore si muove, con molta ironia, tra Epitteto e Simone de Beauvoir, tra Schopenhauer, Confucio e Thoreau, passando per la meravigliosa Simone Weil, la «filosofa dell'attenzione», che qualsiasi cosa facesse, da lavorare in fabbrica a viaggiare in treno, voleva vedere ma non essere vista, «fondersi con la folla e scomparire in essa, in modo che possa mostrarsi per quello che è». La donna che sentiva il dolore degli altri come fosse il proprio («l'afflizione degli altri mi entra nella carne e nell'anima») insegnava filosofia ai lavoratori delle ferrovie, esortava all'attesa e a uno stato di non conoscenza, pensava e meditava nella gloriosa Tube londinese ed era «piena di idee», spesso strambe - come paracadutarsi nella Francia occupata e capeggiare una squadra di infermiere d'assalto - e di entusiasmi che non tutti condividevano: «Ma è pazza!», esclamò Charles de Gaulle leggendo uno dei suoi elaboratissimi piani.

E pazzo era anche Socrate, l'uomo più brutto di Atene, calvo, con il naso largo e piatto, gli occhi da granchio, che mangiava poco, camminava scalzo, sapeva resistere giorni senza dormire e bere molto senza ubriacarsi: un «praticante della saggezza folle», scrive Weiner, che si ritrova nella tradizioni più diverse e il cui esempio più celebre è, probabilmente, Drukpa Kunley, monaco buddista del XV secolo che chiamava il proprio pene «il fulmine della saggezza fiammeggiante» e introdusse in Bhutan la pratica, ancor oggi in voga, di dipingere falli sugli edifici per tenere lontani gli spiriti maligni. Decisamente originale era anche Jean Jacques Rousseau, «un amico capriccioso, un amante deludente, un impiegato impossibile», che viaggiava camminando, perché non era capace di pensare da fermo: e nelle Fantasticherie del passeggiatore solitario racconta dieci camminate, o meglio rêveries, mero pretesto per parlare dei momenti più belli della vita, e per chiedersi se non siano ancora più belli quando sono ripensati e rivissuti: naturalmente, in movimento.

E non dovrebbe forse essere questo, tra sguardi persi nei paesaggi che scorrono dai finestrini annebbiati, oscillazioni dolci e violente, interminabili comunicazioni di offerte, avvisi di ritardi, guerre per il posto bagagli, sguardi distratti, irritazione per telefonate rumorose e inutili o per chiacchiere ancora più vane, il vero senso di ogni viaggio in treno?

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