Succedono un paio di cose abbastanza preoccupanti: la prima è che la Magistratura (parte di essa) sta contestando con durezza una legge che non esiste ancora, e che è quella sulla valenza penale dell'immigrazione clandestina: il segretario dell'Associazione magistrati ieri ha parlato delle «difficoltà» che graverebbero sugli uffici giudiziari e dell'«inevitabile fallimento» di una norma che ancora non c'è, ma che andrà di sicuro a vuoto e questo non certo per colpa della Magistratura: «Vogliamo evitare che si possa indicarci quali responsabili dell'inevitabile fallimento», sono state le sue parole. Mai vista una chiusura simile: qualsiasi cosa farete, recita, non funzionerà e sarà colpa vostra.
Ora: verrebbe da premettere che non va buttato il magistrato con l'acqua sporca, e che sarebbe un errore classificare ogni dissidio tra governo e magistrati solo come una partita tra poteri. La Magistratura, al netto della parte che si ritiene più sacrale che indipendente, più soggetto istituzionale che funzionariato statale, dovrebbe essere una parte sociale come un'altra: dunque l'interloquire con la medesima circa i nodi che paralizzano il Paese (l'interloquire circa le leggi che i magistrati dovrebbero applicare per scioglierli) sulla carta dovrebbe risultare solo proficuo. La parte più responsabile della Magistratura sa benissimo che il Paese è stufo anche del magistrato sospetto scansafatiche, sa benissimo che le toghe sono in picchiata in tutti i sondaggi, e che i problemi della sicurezza, ormai, hanno un primato che può rendere intollerabile ogni consorteria di casta. Il potere giudiziario, nell'Italia di oggi, è visto come una parte consistente di qualcosa che non funziona. Le neo-starlette in toga (Woodcock, De Magistris, Forleo) nei mesi scorsi sono sfilate sui media come attori di un mondo irreale: non certo come i protagonisti del mondo reale della Giustizia italiana, qualcosa che possa davvero riguardare il cittadino medio coi suoi problemi e le sue percezioni. La severità del Consiglio Superiore della Magistratura a proposito di certi protagonismi mediatici, in sé rivoluzionaria, è stata un buon segno dei tempi.
Detto questo, è evidente che qualcosa non va lo stesso. Da una parte, come visto, la chiusura è totale. Dall'altra vediamo che ieri, sui giornali come sui dispacci d'agenzia, o ancora sulle home-page dei principali quotidiani, non si appalesava il solito e fisiologico scontro tra la maggioranza e l'opposizione: ieri, come da un po' di tempo, il confronto era direttamente tra la maggioranza e la magistratura senza mediazioni, in pratica senza la funzione politica e democratica dell'opposizione. Dalle parti del Partito democratico non è giunta una parola se non in tarda serata: a tratti è sembrato che il governo si facesse opposizione da solo, discutendo o polemizzando a proposito per esempio del decreto sulle intercettazioni. Era stata chiara solo la reazione dell'opposizione politica che sostiene la Magistratura purchessia, quella dell'antagonismo de-costruttivo dell'Italia dei valori.
In aggiunta, nei giorni scorsi, sempre dalle parti dell'opposizione, vediamo che a lamentare la mollezza del Partito democratico era stato un manipolo di gente serena e ragionevole come Furio Colombo, Pancho Pardi e Paolo Flores d'Arcais, pure loro noti sostenitori dei magistrati e di una politica in stile Rebibbia.
Morale: la prima vera parola del Partito democratico, a proposito delle intercettazioni telefoniche, è giunta solo alle sette della sera. Walter Veltroni ha diramato un comunicato dove però si è limitato ad aderire a quanto già detto con maggior chiarezza dall'Associazione dei magistrati e dal suo lobbista Antonio Di Pietro: i provvedimenti annunciati dal governo sono «gravi e sbagliati», ha detto, perché il Pd «ritiene che i magistrati debbano poter eseguire le intercettazioni ogni volta che lo ritengono necessario». Per quanto invece riguarda privacy dei cittadini, «è responsabilità degli stessi magistrati che le intercettazioni restino segrete se non per le parti strettamente utili all'inchiesta». Traduzione: non deve cambiare niente. Le Procure sono un groviera, sui giornali compare di tutto, le intercettazioni costano 280 milioni di euro l'anno (un terzo delle spese del ministero della Giustizia, salvo lamentarsi che manca la carta per le fotocopie) e però tutto deve rimanere così.
A parte il merito, colpiscono due cose: che la tardiva voce dell'opposizione non faccia appunto che accodarsi al partito delle toghe (Veltroni, sulle prime pagine online dei quotidiani di ieri, compariva a rimorchio dell'Anm) e che questo accodarsi tra l'altro contraddica quanto lo stesso Veltroni aveva detto in campagna elettorale, quando prefigurava «il divieto assoluto di pubblicazione fino al termine dell’udienza preliminare» con tanto di «sanzioni penali e amministrative molto più severe». Ora ha cambiato idea: la linea politica, di fatto, gliela indica Antonio Di Pietro cui a sua volta la indica l'Associazione magistrati: perlomeno su certi temi. Su altri, tipo la spazzatura, tipo quei pm partenopei che contestano l'azione del governo, l'opposizione si limita perlopiù a tacere: forse perché sa quanto la gente è incazzata. Lo stesso accade a proposito della legge che dovrebbe dare all'immigrazione clandestina uno status di illegalità penale: qualche distinguo, qualche bofonchio, ma l'unica voce squillante è quella della Magistratura o di una parte di essa.
In questo quadro, alterato, l'opposizione non fa il suo mestiere e la magistratura neanche.
Abbiamo un governo forte che vuole procedere spedito, abbiamo un'opposizione debole che teme di perdere ulteriori consensi, e abbiamo una cosiddetta parte sociale, la Magistratura, che problemi di consenso non ne ha: e si sta prendendo lo spazio lasciato vuoto dall'opposizione prefigurando, come nel caso del reato di immigrazione clandestina, una chiusura totale e in davvero scarsa consonanza con il Paese. Sino a quando? Speriamo non sino al giorno, come ha paventato ieri Repubblica citando un magistrato napoletano, che dinanzi ai palazzi di giustizia si presenterà la gente coi forconi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.