Franco Sala e Enrico Silvestri
Il più fanatico era indubbiamente Rachid, era il anche il trascinatore del gruppo, il predicatore, l’indottrinatore. Ma anche Abdelkader non scherzava «Non mi interessa più niente, solo il jihad», cioè la guerra santa contro gli infedeli, dice in un’intercettazione telefonica. Ieri sono stati arrestati dagli agenti della Digos, lasciando di stucco i vicini: «Sembravano tanto delle brave persone».
Rachid Ilhami e Aldelkader Ghafir sono amici di lunga data anche perché provengono dalla stessa città del Marocco, Ben Smire, dove sono nati rispettivamente 31 e 42 anni fa. Sono entrambi in Italia da una decina di anni, con regolare permesso di soggiorno e ancor più regolare contratto di assunzione a tempo indeterminato in altrettante aziende Brianzole. Operaio saldatore il primo, molto bravo e con ottimo salario precisano gli investigatori. Verniciatore il secondo, con un ginocchio momentaneamente fuori uso per un infortunio sul lavoro, e per questo in cassa mutua.
Ghafir vive da tempo in via Galilei 10 a Borella di Giussano, due passi dall’ospedale, in una più che dignitosa palazzina. Dove gli inquilini mai avrebbero immaginato di convivere con uno che volentieri avrebbe tagliato loro la gola nottempo. «Mi è sempre sembrato una persona tranquilla e non si è mai fatto notare per movimenti particolarmente strani» borbotta il signor Mario. Ghafir insomma si era mimetizzato alla perfezione, grazie anche a una moglie di 29 anni e i due figli: una femmina di 6 anni ora in prima elementare e un maschietto di 3, che frequenta l’asilo.
E sarebbe stato proprio la presenza dell’amico a spingere Rachid a trasferirsi a Giussano, comprando casa all’interno di una corte in via Monte Santo 25. Se all’amico interessa solo la guerra santa, figuriamo lui che l’aveva «tirato su». In internet scarica tutto il materiale propagandistico, oltre che «militare», possibile e immaginabile. Così impara a memoria tutti gli interventi pubblici di Osama Bin Laden, di Al Zarqawi ma anche del più sconosciuto arruffapopolo musulmano. Anche lui è sposato, con una marocchina di 25 anni, e ha due figli di due anni e di sei mesi. L’ultimo, per non sbagliarsi, l’ha chiamato direttamente Osama, così sappiamo da che parte sta.
Rachid, dicevamo è il trascinatore del gruppo e inizia subito a indottrinare il figlioletto più grande raccontandogli l’epopea di Bin Laden come fosse la favola della buona notte. E così il piccolo, che sa appena parlare, appena vede comparire sul teleschermo la faccia barbuta del più famoso terrorista del mondo, punta il ditino e chiama ridendo «zio Osama». Un comportamento che aveva non poco preoccupato la moglie che, superata la tradizionale sottomissione, lo invitava spesso alla moderazione.
Rachid, da vero leader, è informatissimo su ogni evento di politica internazionale, grazie a soprattutto, come detto, a Internet. Che lui usa con disinvoltura. Per imparare come trasformare le bombole di ossigeno della sua azienda in micidiali ordigni esplosivi, una banale utilitaria in seminatrice di morte. Nel mirino la sede dell’esercito di via Perrucchetti, l’Esselunga e il ristorante Mistral di Seregno. In rete Ilhami andava a trovarsi anche i video di attentati suicidi e di ostaggi giustiziati. Una sorta di spettacolo ricreativo che il marocchino condivideva con Ghafir e gli altri soci marocchini, una decina ora tutti indagati, in casa di uno o dell’altro.
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