I parroci: "Accogliete profughi in casa". Ma nessuno risponde all'appello

I 45 profughi ospitati a Roncobello (Bergamo) a settembre dovranno lasciare la struttura d'accoglienza

I parroci: "Accogliete profughi in casa". Ma nessuno risponde all'appello

Un volantino fatto girare dai parroci dell'alta Valle brembana invitava i cittadini e i parrocchiani ad aprire le loro case i 45 profughi ospitati a Roncobello. Ma nessuno si è fatto avanti, facendo cadere nel vuoto l'appello della Chiesa.

Nel paesino bergamasco, infatti, come in tante altre parti d'Italia sono arrivati i migranti approdati sulle spiagge del Sud. Sono stati sistemati come meglio possibile, ma a settembre la colonia estiva dove sono ospitati dovrà essere sgomberata, perché non permette un soggiorno invernale. "Nella struttura di Roncobello - si legge nel volantino, riportatio dal Corriere.it - non potranno fermarsi a lungo, perché non c'è riscaldamento. Per evitare che vengano portati altrove e ancora una volta allontanati e trasferiti, come comunità cristiana pensiamo che sia un bel segno di attenzione poterli accogliere, in modo diffuso, nelle nostre comunità locali".

E poi viene spiegato anche come fare: "Due modi: cercando una struttura più piccola - si legge nel volantino - che possa accogliere anche per l’inverno 25-30 ragazzi. La seconda attraverso l’accoglienza diffusa, trovando tre appartamenti nelle tre zone della valle nei quali ospitare 4-5 ragazzi, seguiti da alcuni volontari della zona opportunamente formati dalla Caritas".

All'appelo, però, non ha risposto ancora nessuno. "E' ancora presto - ha detto al Corriere Alessia Proserpio, una volontaria del Centro d’ascolto della valle -. Vogliamo aiutare chiunque abbia dei problemi nella nostra zona, ospiti compresi. L’obiettivo è quello di smorzare i pregiudizi".

Alex Galizzi, della Lega Nord bergamasca, invece, attacca l’iniziativa: "Questo tentativo di organizzazione porterà

quindi più business e più utili per chi, nascondendosi dietro una falsa solidarietà, continua a gestire queste persone facendone pagare conseguenze economiche, lavorative, culturali e magari anche di salute alla nostra gente".

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