Milano - «Buongiorno signora, un’offerta per i bimbi poveri in Africa?». «Mah, non so...». «Se contribuirà, c’è pronto per lei un attestato di benemerenza con l’immagine di Padre Pio». «Va bene, se serve ad aiutare davvero i bimbi africani...». «Signora, guardi che noi siamo una Onlus!». «Ah be’, allora... Tenga». Ma quei soldi, invece di finanziare progetti di sviluppo nel terzo mondo, andavano a finire dritti dritti nelle tasche di tale Mauro Antoniello, sedicente presidente della Onlus «Centro divulgazione culturale Padre Pio» di Cerignola. Una Onlus mai esistita.
Antoniello è uno degli sciacalli del terzo settore. Truffatori che sfruttano la propensione delle persone a fare del bene, a donare qualcosa a chi è meno fortunato, usando come piede di porco per scardinare la diffidenza delle persone il nome «Onlus». Purtroppo non sono pochi. E, sebbene per ogni Antoniello che truffa ci sono migliaia di persone oneste che dedicano al volontariato tempo ed energie, e che i soldi raccolti li spendono per fare del bene, la metafora della mela marcia anche qui risulta valida. «Ne basta una sola per infettare un’intera cesta» commenta Stefano Zamagni, presidente dell’ente governativo che vigila sulle Onlus.
Purtroppo il buon cuore degli italiani è un richiamo irresistibile per i truffatori. Nel contrastare i raggiri «a marchio Onlus» le forze dell’ordine alle volte devono affrontare grandi organizzazioni criminali, talvolta pizzicano malviventi da due soldi: come a esempio il ventinovenne bolognese che lo scorso agosto batteva i corridoi dell’istituto tumori di Milano estorcendo ai degenti «offerte» per conto di un’associazione umanitaria (davvero esistente e ben operante) dalla quale però era stato allontanato anni prima proprio per comportamenti simili; o, all’estremo opposto, come i due presunti esponenti della camorra casertana Francesco e Prisco Buonocore, arrestati nel dicembre 2007 per estorsione legata alla gestione dei parcheggi della Reggia di Caserta, che avevano («incredibilmente» secondo i pm titolari dell’inchiesta) in concessione in qualità di gestori unici della Onlus «Servizi Integrati Terra di Lavoro».
Ma andando indietro nel tempo i casi abbondano, e si fanno sempre più scabrosi. Come la truffa ordita dai vertici dell’associazione genovese «Centro Cooperazione Sviluppo», imputati - ma uno ha già patteggiato un anno e sei mesi - di condurre una vita da nababbi con i fondi che raccoglievano a favore dei bambini africani (evidentemente un leit-motiv per i ladri), o come i responsabili della «Croce Verde Brixia», accusati di aver fatto pagare per anni agli ospedali di Bergamo, Mantova e Cremona più del triplo delle spese realmente sostenute nel gestire servizi di assistenza e trasporto malati, mentre il resto finiva nelle loro tasche. Oppure come il caso, uno dei più eclatanti, dell’associazione milanese «Amore del Bambino»: costituita nel 1995 per promuovere raccolte di fondi da devolvere a bambini (questa volta italiani) bisognosi di interventi chirurgici molto costosi all’estero. Con gli anni la onlus, che aveva disseminato i suoi boccioni salvadanai praticamente in ogni bar ed esercizio pubblico del nord Italia, da benefica era diventata un’associazione a delinquere.
I due responsabili, Marino Antonetti e Giulio Varisco, già condannati rispettivamente a tre anni e a due anni e quattro mesi di reclusione, si erano appropriati di almeno 450mila euro, con i quali si potevano permettere una vita, così come è stata definita in tribunale, «dissoluta, fatta di belle automobili, continue occasioni festose, lussuose ville dove trascorrere le proprie giornate».
Nelle motivazioni della sentenza i giudici parlano di «un quadro desolante, di profonda miseria morale», come testimonia un’intercettazione telefonica in cui Antonetti spiega a un complice come orchestrare una nuova raccolta di soldi: «Basta fare un volantino generico in cui si cita l’atrogriposi. Ma sì, ma chi se ne frega se fa, tanto non capiscono un c....».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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