I sunniti in guerra contro Al Qaida già eliminati 500 terroristi in Irak

Da cinque mesi nella regione di Al Anbar i seguaci di Osama sono obbiettivo di un’offensiva Uccisi anche due capi degli integralisti

da Washington

Se le notizie sono esatte, può trattarsi di una svolta davvero importante nel conflitto iracheno. Se sono vere soltanto in parte, costituiscono forse la prima buona notizia per George Bush dal campo di battaglia dopo mesi e mesi di notizie cattive. Le rivelazioni vengono dall’altra sponda dell’Oceano, da ambienti vicini all’unico alleato effettivo rimasto in campo con gli americani in Irak.
A raccontarlo è il Sunday Times di Londra, che spiega come da qualche tempo le tribù della regione più compattamente sunnita dell’Irak, l’Al Anbar, sarebbero impegnate da tempo, forse da mesi, in un’offensiva generale contro Al Qaida, addirittura in una caccia all’uomo che avrebbe portato alla morte di almeno cinquecento terroristi appartenenti all’organizzazione fondata da Osama Bin Laden. I dettagli non mancano nel «rapporto» del quotidiano londinese. Fra le vittime ci sarebbero almeno due «comandanti» di formazioni di Al Qaida nell’Al Anbar o a Bagdad. L’annuncio viene dal condottiero in persona, Abdul Sattar Abu Risha, che avrebbe assunto la presidenza di un Consiglio per la salvezza di Al Anbar e di milizie tribali cui è stato impartito l’ordine di uccidere a vista «tutti gli integralisti». Risha spiega anche il perché, dal sito che ha da poco aperto, Sot al-Irak. Abu Risha dichiara i motivi della sua guerra, che sono anche personali (suo padre e suo fratello sarebbero stati uccisi l’anno scorso da terroristi seguaci di Bin Laden), ma anche tribali, religiosi e soprattutto «patriottici». Le sue milizie si sono sollevate in difesa del loro tradizionale modo di vita, per difendere e proteggere i fratelli di fede sunnita in tutto l’Irak contro la minaccia degli sciiti di obbedienza iraniana e, dunque, per difendere l’unità del Paese.
Questa decisione sarebbe stata presa quasi un anno fa, al termine di trattative segrete (ma non troppo: ne aveva dato annuncio anche, l’anno scorso, il vicepremier iracheno Salam al Zubaie), motivando questo suo gesto con la necessità primaria di isolare e se possibile annientare Al Qaida. Ci sarebbe stato tra queste forze tribali e il governo un accordo che gli garantirebbe una quasi totale impunità, con la garanzia che le «forze di sicurezza» governative non attaccheranno mai queste milizie e che i guerriglieri tribali «potranno eventualmente arruolarsi nell’esercito regolare». Questo accordo sarebbe precedente alla decisione di Bush di inviare rinforzi in Irak, per sviluppare un piano che contiene la precisazione che una parte importante dello sforzo bellico americano sarà destinata proprio alla provincia di Al Anbar.
Esperti di Washington credono di vedere in questa nuova spregiudicata strategica la mano del nuovo comandante Usa, generale David Petraeus, specialista in operazioni di controguerriglia, studioso delle esperienze compiute in vari momenti da vari Paesi (in particolare la Francia in Algeria) e autore di uno studio in proposito che sarebbe stato sottoposto all’esame e poi all’approvazione del presidente Bush. È perfino possibile che Bush si riferisse a questi sviluppi, che restano clandestini, quando l’altro giorno si è detto convinto che l’Irak era incamminato «sulla strada della normalizzazione».

Si tratterebbe semmai di una provincia, la più desertica e caratterizzata dalla sua compatta popolazione sunnita: l’unica parte dell’Irak praticamente senza sciiti e dunque estranea ai massacri della guerra interconfessionale che continua in tutto il resto del Paese e particolarmente a Bagdad, nonostante che formalmente la maggior parte dei recenti rinforzi americani siano stati destinati alla capitale.
Un altro dettaglio interessante è che i capi tribali spiegano il loro cambio di campo con l’accusa a un’organizzazione essenzialmente sunnita come Al Qaida di «condividere i fini dell’Iran, protettore degli sciiti».

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