I trucchi Usa non fermeranno la bufera

Gli espedienti ai quali Sec e Tesoro degli Stati Uniti si sono votati confermano che giovedì scorso la situazione dei mercati non era più soltanto seria, era disperata. Eppure quanti su tanti giornali spiegano la crisi paiono volersene dimenticare a memoria. E per un rimbalzo da borse alla cinese, ovvero finte, hanno ceduto troppo all’euforia. Mentre invece gli espedienti tentati restano per molti versi discutibili, e forse di precaria efficacia. Del resto tant’è: questo è il pressappochismo sortito da anni in cui si sono stampati più dollari che tappi di Coca-Cola. Per carità tralascio di citare che cosa tanti economisti hanno scritto fino all’altro ieri. Lasciamo stare; vediamo invece quali rischi di incoerenza e quanti margini di inefficacia vi siano nel gesto americano.
Bastasse davvero solo di vietare le vendite allo scoperto per risolvere le crisi finanziarie saremmo tutti a posto: neppure ci sarebbe stata la Grande Crisi degli Anni Trenta. Pure Hoover, 31° presidente degli Stati Uniti, era ossessionato dalle vendite al ribasso, che giudicava complotti. Finì nel ridicolo, perse le elezioni. Fa bene dunque McCain a non voler ripetere i suoi errori, e a chiedere la rimozione di Cox, presidente del Sec. Anni fa la Securities and Exchange Commission permise di alzare il livello di debito delle banche ora fallite, esagerando il rialzo. Per decreto ora invece blocca la principale delle scommesse al ribasso, con un atto che resta dubitabile. Infatti i short selling bloccati, lasciando gonfiati i vari valori finanziari, possono aggravarne il tracollo al loro sblocco. Inoltre vietando vendite allo scoperto si tampona la crisi, ma s’inaridisce una fonte di liquidità: in una situazione già illiquida si chiude uno dei canali di ricopertura. Vari titoli poi, come quelli sulle carte di credito, ne sono pericolosamente esclusi. Infine il divieto è di molto complicato dall’esistenza d’altri generi di scommesse al ribasso scambiate tra investitori direttamente, non in Borsa. Insomma questo mercato truccato di una Wall Street evoluta Shanghai, coi suoi corsi manipolati dallo Stato, tampona forse la crisi, ma non è detto la risolva.
C’è poco da fare: il ritorno alla salute richiede prima o poi inevitabile una distruzione vera di valori fittizi. E perciò anche l’altra misura, quella di creare un fondo mostruoso del Tesoro, in cui infilare mutui e crediti cartaccia, è disputabile nei suoi effetti. Dovrebbe acquisire a prezzi scontati valori enormi, mai prima pensati, tali da elevare di un sol colpo del 5% il debito Usa. E però in tal maniera si rischia pure il congelamento di valori fittizi, ovvero non remunerabili: l’esito giapponese degli anni ’90. I dubbi non finiscono: quanti abusi si verificheranno nella stima dei prezzi ai quali questa cartaccia sarà comprata coi soldi dei contribuenti. A prezzarli non sarà infatti un mercato che si è sospeso. Insomma siamo alla commedia di un liberismo finto, usato per speculare al rialzo, ma che si sospende al ribasso, e di una globalizzazione che allora è stata solo una americanizzazione. Diviene lecito a chiunque, temo, chiamare truffa, gli imbrogli di borsa per via dei quali gli Usa si sono mantenuti almeno dalla presidenza Clinton in un livello di consumi innaturali. E con che esito alla fine? Mercati finanziari americani sotto tutela dello Stato; alla cinese.

Appunto alla comunista: coi guadagni incassati poi da pochi, ma pagati da tutti. Von Hayek, i liberisti veri, predicavano ben altro: di mai stampare moneta in eccesso. Il contrario di quanto s’è purtroppo, e troppo a lungo, plaudito per anni.
Geminello Alvi

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