Immigrati regolari: in busta paga 1.300 euro al mese

(...) la situazione italiana, come è noto, è tra le migliori in Europa e quella di Milano e della Lombardia tra le migliori al mondo. Non è una questione di vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto: si tratta semplicemente di non fare uso tendenzioso e propagandistico di dati certi, di fare analisi, di indicare delle soluzioni. Forse sarebbe anche giusto ricordare ai giovani milanesi che leggono due tetre paginate di disperazione che comunque sono messi meglio, ma molto meglio dei loro coetanei di Gela o di Casoria. E magari invitarli a fare meno gli schizzinosi, almeno inizialmente. Perché credo che nessuno ignori l’attitudine - certo, in parte comprensibile - delle nuove generazioni a guardare in modo molto più selettivo che in passato alle opportunità offerte loro dal mercato del lavoro. L’elevato livello culturale e le migliori condizioni di partenza creano aspettative che non sempre possono essere immediatamente soddisfatte.
D’altra parte oggi a costoro è consentita una lunga sopravvivenza nelle famiglie d’origine. Sono i famosi «bamboccioni» del ministro Padoa Schioppa. E allora, possono essere considerati disoccupati a pieno titolo quei giovani che hanno rifiutato delle opportunità di lavoro perché le consideravano (legittimamente, intendiamoci) inadeguate e aspettano la buona occasione a casa di mamma e papà? Forse certe ricerche andrebbero fatte in modo analitico e meno fazioso, senza avere già in mente il risultato che si vuole ottenere mettendo quindi le cose in modo da ottenerlo.
La stessa Repubblica poche pagine più avanti segnala una protesta, nota da tempo, delle strutture sanitarie: «Mancano gli infermieri, lasciateci assumere gli immigrati». Una clamorosa contraddizione a poche pagine di distanza, sembra impossibile che non se ne siano accorti. Ma come, c’è gente che preferisce stare a girare i pollici, come si suol dire, piuttosto che fare il duro, scomodo, malpagato ma nobile e prezioso mestiere dell’infermiere? E questi sarebbero disoccupati? Ma anche gli artigiani si lamentano: non trovano lavoranti i sarti, sta scomparendo il mestiere del calzolaio - che può far diventare ricchi ed e creativo, le scarpe non solo si riparano ma si fanno anche su misura, il padre di Della Valle e quello dei Rossetti hanno cominciato così. Per non parlare degli agricoltori o dei pescatori. Verrebbe da concludere che il guaio è che oggi siamo tutti laureati, ma non è così perché con una bella laurea si può benissimo fare anche il pescatore o il sarto. Per di più guadagnando bene. Forse bisogna rivedere il quadro delle aspettative, cambiare testa.
E anche cambiare il modo di utilizzare certi dati, certe situazioni.

Perché quando di un problema serio e indubbiamente grave si fa un uso propagandistico, quando lo si drammatizza artificiosamente impedendo di coglierne i termini reali si fa un’operazione che assomiglia molto allo sciacallaggio sociale.

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