Gli imprenditori: «È Milano la città ideale per il lavoro»

Industriali poco soddisfatti e diffidenti verso banche, sindacati e partiti. Fiducia nelle istituzioni

Alessandro Ruta

Milano, città ideale per lavorare, città internazionale, multietnica e persino «bella». Non socialmente coesa, però, e quasi impossibile da vivere.
Gli imprenditori intervistati come ogni anno dalla Camera di commercio per l’assegnazione del premio «Milano produttiva» la pensano così: 9 su 10 la ritengono uno dei posti migliori per gli affari, ma solo uno su dieci la trova molto vivibile (e 3 su 10 abbastanza vivibile). Sono imprenditori che si sentono italiani, ma milanesi prima ancora che «europei» o «cittadini del mondo», vista anche la poca volontà di delocalizzare la propria attività.
Non mancano le lamentele: la maggior parte è poco soddisfatta dell’attuale situazione della propria industria (41%) e la metà degli intervistati non crede che ci saranno miglioramenti nel breve periodo. Un quarto, infine, prevede addirittura un peggioramento. In compenso più del cinquanta per cento non ha mai avuto il timore di fallire o di dover cedere l’attività ad altri.
Poca preparazione e specializzazione dei dipendenti. Questi i maggiori problemi interni all’impresa per gli industriali milanesi, mentre non destano preoccupazioni le difficoltà ad integrarsi della manodopera straniera che, piuttosto, andrebbe favorita. Grave problema invece l’alto costo del lavoro e degli immobili. Irrilevanti le conflittualità sindacali. Per i dirigenti d’azienda i sindacati, poi, non andrebbero coinvolti nelle decisioni di politica economica. Verso questa categoria c’è fiducia solo da parte di un imprenditore su dieci.
Anche le banche, i partiti politici e la magistratura sono istituzioni malviste dagli industriali (si fidano di loro, rispettivamente, il 4,3%, il 2,2% e lo 0,7%). Un plauso che rimarca il forte senso civico e della legalità da parte dei proprietari delle aziende è rivolto, di contro, alle forze dell’ordine (26%) e alle organizzazioni di volontariato (17%). Non è un caso, quindi, che nel corso del 2004 tre imprenditori su cinque abbiano sostenuto le associazioni non-profit con donazioni.
Le caratteristiche che dovrebbe possedere un buon industriale, sono l’attenzione verso il cliente e l’amore nei riguardi della propria azienda, mentre sono poco considerati gli impegni negli ambiti sociale, culturale e politico. Occorrono idee imprenditoriali, voglia di sacrificarsi, di lavorare e la conoscenza dello specifico ambiente in cui andare ad operare: andrebbero evitati gli incentivi pubblici e il sostegno delle famiglie.


È un mercato del lavoro troppo rigido, secondo gli imprenditori milanesi, e la società italiana dovrebbe superare questo problema: così come c’è la necessità di lottare contro la criminalità, ridurre il peso della pubblica amministrazione, promuovere lo sviluppo delle regioni meridionali. Un’impresa, quindi, che ha l’obbligo di contribuire al benessere collettivo: così la pensa la metà degli industriali intervistati. Senza dimenticare, però, che hanno per le mani anche uno strumento di profitto.

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