Imprese e arte, un matrimonio per aiutare l’Italia

Imprese e arte, un matrimonio per aiutare l’Italia

Qualcuno in vena di polemica da salotto culturale si metterebbe subito a sfruculiare i dettagli: si tratta di nobile quanto disinteressato mecenatismo? Oppure siamo davanti a uno sponsor affamato, o peggio goloso di pubblicità, di quelli che farebbero scrivere qualche paginetta di smorfie stilistiche al febbricitante critico d’arte Jean Clair, che di suo vorrebbe rimettere un redivivo e sornione Gianni Agnelli a Palazzo Grassi, perché Pinault ha un modo di fare troppo spudoratamente commerciale?
Insomma, cos’è Eni in relazione a tutti gli eventi culturali che sta patrocinando negli ultimi anni? Potremmo rispondere che si tratta di un mécène exceptionnel (di fatto, dal 2008, lo è pure del Museo del Louvre a Parigi). «Certo, - ci dice Lucia Nardi, responsabile attività culturali Eni - occuparsi di valorizzazione dei beni culturali mentre una crisi economica senza precedenti continua a diffondere incertezza e sfiducia nel Paese potrebbe sembrare fuori luogo. Eppure si tratta di un tema pertinente. Uno dei nodi cruciali delle politiche di valorizzazione del territorio in Italia continua ad essere il finanziamento pubblico dei beni culturali. Oggi il sistema imprenditoriale può contribuire invece anche alla crescita culturale della società».
E perché dovrebbero farlo, visto che alle aziende, per principio, importa solo il profitto, e soltanto in secondo (e motlo remoto) luogo, la «crescita culturale della società»? La risposta sta in una parolina magica, sempre più usata negli ultimi tempi: «sostenibilità», cioè, in senso lato, una visione più attiva e consapevole del rapporto impresa-comunità. I clienti la apprezzano, le aziende la inseguono. «Per dimostrare di essere sostenibili - continua Nardi - le imprese decidono di puntare non solo su fattori come lo sviluppo, l’innovazione e il dialogo, ma anche sulla gestione del rischio, il miglioramento delle performance, l’affermazione e il mantenimento di una reputazione positiva. Eni in questi anni ha raccolto la sfida, fornendo non solo un supporto finanziario ad iniziative importanti ma proponendosi come catalizzatore di sollecitazioni e aspettative delle comunità e del territorio. Puntare su valori “alti” equivale d’altra parte a costruire attorno al brand aziendale un’aura di consenso collettivo».
Di fatto, è proprio quello che è accaduto, prima a piccoli passi (Mattei che chiama Attilio Bertolucci a dirigere il giornale aziendale Il Gatto Selvatico, o che lancia il concorso alla Permanente di Milano, nel 1958, per giovani artisti emergenti, tra cui il futuro Arnaldo Pomodoro), e negli ultimi anni sempre più velocemente. Basta ricordare l’arrivo a Milano, grazie a Eni, di La conversione di Saulo del Caravaggio (nel 2008), del San Giovanni Battista di Leonardo (nel 2009) o della Donna allo specchio di Tiziano, l’anno scorso, accompagnata da incredibili apparati multimediali (circolava sul web persino un’applicazione che permetteva di inserire il proprio volto nel dipinto, per tacer delle varie App).
«Le attività culturali di Eni - racconta Nardi - sono molte e diversificate. Ogni attività è coerente con la strategia di essere presenti sui territori in cui abbiamo nostre realtà produttive anche attraverso la cultura.

Progettiamo insieme ai nostri stakeholder attività che rispondano alle esigenze del luogo. In questo modo abbiamo sostenuto le mostre di Palazzo Diamanti a Ferrara, collegando un’attività didattica ad hoc, il festival letteratura di Mantova, per citare solo due degli esempio più significativi».

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