nostro inviato a Catanzaro
Sarà un settembre caldissimo per il centrosinistra sott'intercettazione. Oltre alle bollenti conversazioni dei dirigenti Ds sulla scalata Unipol, al rientro dalle vacanze il Parlamento si ritroverà tra le mani un'altra questione non meno scottante: la richiesta, avanzata dalla procura di Catanzaro, di utilizzare i tabulati telefonici del presidente del Consiglio indagato per abuso d'ufficio nell'inchiesta «Why Not». L'istruttoria tecnica sulle 36mila chiamate «localizzate» sul telefonino di Romano Prodi dal 2004 ai giorni nostri è praticamente conclusa. La documentazione completa, con le più clamorose novità investigative emerse dal 21 aprile 2006 (periodo coperto da guarentigie parlamentari) verrà inoltrata agli inizi del mese prossimo al Gip, da qui alla Camera, e sarà accompagnata da una corposa relazione del super esperto Gioacchino Genchi, consulente di Luigi De Magistris, il pm che ha «iscritto» il premier Prodi, intercettato il ministro Mastella, lavorato sulle telefonate del vicepremier Rutelli con il principale indagato del presunto comitato d'affari massonico radicato tra San Marino e la Calabria.
L'intreccio catanzarese corre sempre più sul filo dello sviluppo degli incroci telefonici tra il Professore e alcuni degli indagati eccellenti, e tra questi ultimi e il ministro della Giustizia Clemente Mastella che nelle scorse settimane ha inviato nella procura dei veleni e delle fughe di notizie cinque dei suoi più fidati ispettori.
Ironia della sorte, fortuita o sfortunata coincidenza. Proprio sul ministro della Giustizia si è imbattuto per l'ennesima volta De Magistris lavorando con Genchi in riferimento ai contatti, già documentati nella prossima elaborazione tecnica, tra il Guardasigilli e il «deus ex machina» della presunta organizzazione criminale legato a un noto imprenditore vicino alla Margherita (perquisito di recente) che si sarebbe aggiudicato una serie di appalti a palazzo Montecitorio nel periodo in cui l'attuale titolare del dicastero di via Arenula era vicepresidente della Camera.
Ma la novità vera emersa dall'esame dei traffici telefonici riguarderebbe ulteriori anomalie collegate al curioso peregrinare del cellulare in uso a Romano Prodi. Come si ricorderà dal giorno del suo rientro in Italia dopo l'esperienza europea, Prodi contatterà ripetutamente gli indagati della «Why Not» interessati ai finanziamenti continentali. E lo farà utilizzando una delle quattro schede gsm curiosamente intestate non a suo nome ma alla società Delta. Questa Spa di telecomunicazioni da parecchio tempo - secondo gli inquirenti - sarebbe nell'orbita di precisi apparati economici riconducibili al centrosinistra che, stando sempre all'ultima ipotesi di lavoro, potrebbero averne reso possibile l'ingresso nel maxi-appalto della Consip nel 1999 (sul quale si è aperto in gran segreto un nuovo filone) inerente la gestione della rete informatica e telefonica nella pubblica amministrazione.
Spulciando nei dati dell'apparecchio del premier, i cui riferimenti numerici e nominativi escono dalle agende e dai telefonini sequestrati agli indagati Antonio Saladino e Piero Scarpellini, a cascata erano emerse altre utenze riconducibili allo staff del leader dell'Ulivo, tutte intestate alla Delta: ecco l'utenza dell'attuale sottosegretario Ricky Levi, ecco quelle dei collaboratori Daniela Flamini e Maurizio D'Amore. La spiegazione offerta da Delta, e da Palazzo Chigi, è stata che al momento di rientrare in Italia, non avendo un partito o un'associazione cui appoggiarsi per la partita Iva necessaria ad attivare una scheda (quando in realtà basta il codice fiscale) Delta fece a Prodi e alle persone di sua fiducia la cortesia di acquistarle e di intestarsele. Il motivo, per il pm, sarebbe ben altro. Ma sul punto c'è il massimo riserbo.
gianmarco.chiocci@ilgiornale.it
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