Gino Paoli compie novant'anni.
«Cazzo! Il guaio di vivere così tanto è che perdi gli amici».
Teme la morte?
«La morte è una compagna fissa della vita. Ogni giorno vissuto è un giorno in meno che devi vivere. Mio nonno diceva: Dai all'età quello che l'età richiede. Adesso sento la vecchiaia, i dolori. Ma fino a ottant'anni tutto perfetto».
Lei ha vissuto al massimo.
«Uno degli aggettivi che sta bene alla mia vita è esagerato. All'inizio mi sono drogato».
Di cosa?
«La cocaina era alla base. Poi andava bene tutto il resto. Ma la mia vera droga è stata l'alcol, per vent'anni ho bevuto una bottiglia di whisky al giorno. E due pacchetti di Marlboro».
Poi?
«Poi ho smesso con il bere. Mio cognato mi ha chiesto di parlare a un congresso di specialisti. Ho detto: Ho bevuto, mi sono drogato, ho fumato, sono la dimostrazione che nella vita ci vuole culo».
Alla vita Gino Paoli ha aggiunto anche poesia. Ha scritto brani che restano, ha lanciato la cosiddetta «scuola genovese» ed è sostanzialmente l'ultimo sopravvissuto dei primi cantautori o, meglio, il primo cantautore a mettere la vita in musica. «Io scrivo dal cuore» dice ancora adesso, sdraiato su di un divano di cui «sono innamorato» nella sala della sua casa di Genova. La moglie Paola va e viene, ricorda quando si innamorò di Gino che «aveva i capelli raccolti con la coda come nessuno allora e poi diceva cose favolose». Fuori dalle finestre si vede il mare. Dentro alla stanza c'è la storia della musica d'autore. E parlare con quest'uomo infinito significa attraversare il Novecento.
Lunedì 23 settembre compie 90 anni.
«Ornella Vanoni li compie il giorno prima. È ancora innamorata di me e pure di mia moglie, viene qui a trovarmi ogni volta che può. Sa qual è la sua dote? Che dice la cosa giusta al momento giusto. Anche negli anni Sessanta, quando incontravo artisti o intellettuali, lei se ne stava in disparte ma, quando apriva bocca, diceva la cosa che si doveva dire in quel momento».
Gino Paoli ha esordito con il brano La gatta.
«All'inizio non l'ha comprato nessuno».
Poi ha inciso Il cielo in una stanza.
«Nel bordello Castagna, in via Castagna a Genova, avevo incontrato una ragazza meravigliosa, aveva gli occhi a mandorla, credo si chiamasse Mi-Dien o qualcosa del genere. Sono impazzito, avevo 16/17 anni. Per andare con lei, vendevo anche i libri di mio padre, anche il prezioso Dizionario Industriale. A un certo punto finisco i libri e i soldi, così le dico: non possiamo più vederci. Lei rilancia: non devi pagare, ci vediamo al mattino. Allora i bordelli lavoravano solo pomeriggio e sera. Siamo andati anche al cinema. Dopo più o meno un mese deve andar via da Genova e mi chiede di seguirla. Ci ho pensato tre notti e poi ho detto no. Se avessi accettato, magari sarei diventato un pappone». (sorride - ndr)
Però ha scritto uno dei testi più belli di sempre.
«Sul soffitto della nostra stanza c'era uno specchio perciò questa stanza non ha più pareti».
Per prima la cantò Mina.
«Credo abbia dato una bella mano alla sua carriera. Non la sento da tanti anni»
Quanto ha venduto quella canzone?
«Non lo so, ma quando sono andato in Giappone nel 1965 mi dissero che solo là aveva venduto un milione di copie».
Gino Paoli e Genova.
«Ci sarebbe da capire perché ce l'hanno con Genova. Negli ultimi 2 o 3 anni con Toti e il sindaco Bucci le cose andavano per il meglio e poi, tac!, parte l'inchiesta. Ho pensato: allora perché non facciamo un'inchiesta su tutti i governatori?»
Ma perché è diventato cantante?
«Non ne avevo nessuna voglia, io volevo fare il pittore».
Però ha iniziato con I Diavoli del Rock.
«Tra gli altri, eravamo io, Luigi Tenco e Bruno Lauzi che suonava il basso, anzi il bassetto, perché quello originale era troppo grande».
Luigi Tenco.
«Suo zio da parte di mamma gli mandava un po' di soldi e noi sopravvivevamo. Di quel gruppo non rimane più nessuno».
Tenco si suicidò a Sanremo nel 1967.
«Secondo me è successo perché lui prendeva il Pronox, un barbiturico che, se assunto con l'alcol, aveva un effetto tipo speedball. Lo conoscevo anche io. Forse non sarebbe successo se io fossi stato a Sanremo».
C'era Lucio Dalla, uno dei primi a sentire lo sparo suicida in albergo.
«Mi ero innamorato di Lucio, un talento straordinario, avevo sfinito i discografici della Rca per fargli fare un contratto nonostante non ci credesse nessuno perché lui cantava con una voce strozzata, era piccolo, brutto, mezzo calvo. Dopo il suicidio di Tenco, lui canta in gara Bisogna saper perdere e io mi sono arrabbiato tantissimo. Ma come? Il mio amico Tenco si era suicidato perché non accettava la sconfitta... Insomma, quando sono arrivato a Sanremo, l'ho attaccato al muro».
Lei aveva già tentato il suicidio ma la pallottola si è fermata di fianco al cuore.
«Mio padre mi portò a Torino dal grande cardiologo Dogliotti che disse: per togliere quella pallottola dobbiamo aprirle il torace. Che cosa succede se non la togliamo?, chiesi. Deve smettere di bere, drogarsi, fare troppo sesso. Se succede qualcosa - chiarì - hai dieci minuti di vita. Scelsi di fregarmene della pallottola».
Poi diventò padre di Amanda.
«Amanda è il mio amore. È nata tra le mie mani. Ero appena tornato da un tour e avevo raggiunto Stefania Sandrelli a Losanna. Durante la cena le si ruppero le acque, in ospedale non c'era nessuno e il primario mi chiese di aiutarlo. Quando mi sono ritrovato in mano Amanda stavo per svenire».
Ma poi?
«Stefania stava con Nicky Pende, gli piaceva la bella vita ed era violento. Dissi a Stefania: per me puoi fare le scelte che vuoi, ma mia figlia non le deve subire. Il giorno dopo mi ha mandato Amanda a casa in taxi. La mia ex moglie l'ha molto aiutata, le è stata molto vicina».
Gino Paoli, lei è stato considerato un comunista.
«Sono comunista alla Rousseau: i beni della terra e dell'intelletto non possono essere privilegio di pochi ma di tutti. Io la penso ancora così. Sono gli altri che sono cambiati. Oggi senti parlare uno del Pd e sembra di sentire Gianfranco Fini».
Gino Paoli da ragazzo, in famiglia.
«Mio padre era un ingegnere navale. Andò a sentire Mussolini un giorno a Genova e poi a casa disse: Questo è uno con le idee chiare, purtroppo intorno ha degli imbecilli. Io, che ero piccolo, dissi: Ma chi li ha scelti questi imbecilli?. Durante la guerra mio papà era comandante di coperta della nave Littorio. Fu bombardata e quasi tutti scapparono. Lui e pochi altri riuscirono a spostarla in una rada sicura. Mussolini chiese a mio padre: preferisce una medaglia d'oro o un milione di lire?».
Risposta.
«Un milione».
Andava d'accordo con lui?
«Era un militare anche in casa. Io combinavo tanti casini, mia mamma a un certo punto mi disse: spero non ti capiti un figlio come te».
Indro Montanelli.
«Il giorno dopo l'attentato alle Torri Gemelle il mio primo istinto fu di cercare un suo articolo, senza pensare che era morto da poco. Tempo prima ero andato a un suo compleanno. C'erano tutti, da Agnelli a Moratti. Quando mi vide disse: Ah c'è il grande poeta. A lui piaceva dialogare con me, e a me con lui».
Gino Paoli è sempre stato lontano dalle mode. Peppino Di Capri ricorda che lei si presentò al suo matrimonio alla Bussola vestito con i jeans.
«Mi vestivo così, non ho mai pensato a cosa mettermi».
Qualche tempo fa un suo post ha fatto arrabbiare Elodie.
«Non mi riferivo di certo a lei, che non conosco. Intendevo dire che oggi l'apparenza è più importante della sostanza».
A proposito, c'è nuova musica all'orizzonte?
«Ho cinque o sei canzoni giuste, pubblicherò un disco e poi vediamo».
Mai una certezza.
«Io sono
provvisorio da sempre. Anche adesso. Mi resta un grande rimpianto perché lasciare i miei figli in un mondo con la guerra è terribile per uno che la guerra l'ha vissuta sulla propria pelle e ne porta ancora le cicatrici».
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