Indagine sulla scomparsa di Cristo

Non è un testo sulla fede. Tanto meno un’opera che racconta la parabola umana e mistica di Gesù. Semmai un viaggio nelle regioni profonde dell’animo umano, laddove si annida l’inquietudine, il dubbio, il senso del mistero imprescindibili dall’esperienza stessa dell’esistere.
Ed è proprio per questa ragione che «Il Vangelo secondo Pilato» del filosofo e drammaturgo francese Eric- Emmanuel Schmitt ha affascinato Glauco Mauri e Roberto Sturno (insieme sulle scena da ben ventotto anni) e li ha convinti a trarne uno spettacolo che, già visto e apprezzato in alcune importanti piazze italiane, debutta martedì sera al Valle. «Credo che sia un lavoro - spiega il settantottenne maestro pesarese, qui anche regista - che ci offre la possibilità di fare un teatro necessario; di arricchire la gente di interrogativi alti e fondamentali. Non si tratta di un’apologia del cristianesimo ma di un rispettoso omaggio verso quanti cercano di capire cose incomprensibili e inevitabilmente misteriose».
D’altronde, è la scrittura stessa di Schmitt (autore di celebri pièce quali «Il visitatore», «Variazioni enigmatiche», «Il libertino», «Piccoli crimini coniugali») a porre volentieri domande che schiudono riflessioni e introspezioni senza venire soddisfatte. E questo coraggioso testo, debitamente adattato dallo stesso Mauri, risulta quanto mai emblematico in tal senso. «La prima parte è una sorta di prologo in cui interpreto un Uomo/Gesù anziano che, poco prima di essere catturato e crocefisso, rievoca la sua favola e, sentendo avvicinarsi l’ora della fine, è assalito dai dubbi; non è convinto di essere il figlio di Dio; dice che solo dopo la sua morte si capirà chi egli sia stato veramente».
Del tutto diversa la seconda parte dello spettacolo, concepita come un’incalzante indagine poliziesca sulla scomparsa del corpo di Cristo condotta da un Pilato (Sturno) inquieto, incredulo, caparbiamente deciso a interrogare e a condannare i discepoli pur di risolvere quel grandioso mistero e intento a dettare l’esito della sua inchiesta allo scrivano Sesto (Marco Bianchi). «È proprio accostandosi a questo mondo d’amore a lui ignoto - riprende Mauri - che il governatore della Giudea scopre qualcosa di nuovo, di forte; sente la sua anima cambiare, aprirsi all’ignoto, accettare il bisogno di amare e di mettersi alla ricerca di qualcosa».
Entrambi i quadri finiscono dunque con degli interrogativi (assai intensa è, per esempio, l’ultima battuta della pièce: «Chissà che strada prendono le idee») che non possono non fare breccia nel cuore del pubblico. «Di solito mi accorgo sempre quando gli applausi sono formali o poco convinti e debbo riconoscere che invece, alla fine di questo lavoro, gli spettatori ci comunicano un senso di riconoscenza, come se ci ringraziassero di aver tradotto alla loro portata idee, ombre, vissuti che sono dentro ogni uomo, credenti o meno che si sia».
La soddisfazione sembra, insomma, ripagare in pieno la scelta di un’opera contemporanea che, in attesa di riprendere le repliche di un classico quale «Faust» di Goethe (da gennaio), vuole anche imporsi come «una sterzata - conclude Mauri - al desolante panorama teatrale che abbiamo in Italia.

A livello economico e organizzativo siamo allo sfascio, ma credo che in questo periodo ci sia, pure all’estero, una preoccupante pigrizia creativa». Schmitt, ovviamente, fa eccezione.
Al teatro Valle in via del teatro Valle 21. Repliche fino al 14 dicembre. Informazioni: 0668803794; 06800011616.

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