Il 31 agosto Pietro Citati - una delle «grandi firme» laiche di Repubblica - ha saputo che il Papa ha ricevuto Oriana Fallaci. Ed è stato per lui come essere investiti da un treno. Da allora - si arguisce dal suo sfogo, uscito ieri sulla prima pagina di Repubblica - ha finito di campare. Forse il fegato o il sonno perso o la cefalea, la bile, chissà cosa gli si è rivoltato dentro. Per questo scombussolamento qualcuno gli avrà consigliato di buttar tutto fuori, cercando sollievo nell'invettiva.
Ne è nato un pezzo imbarazzante. Anche per l'inusitata virulenza verbale. Innanzitutto il letterato di Repubblica ha voluto spiegare ai suoi lettori perché mai un Papa, per di più un Papa intellettuale, arriva a ricevere la Fallaci e non un illustre luminare come Pietro Citati. La spiegazione di Citati, per nulla piena di risentimento, invidia e rancore, suona così: «Il Papa può, anzi deve, ricevere tutti gli esseri umani, soprattutto i miserabili, i peccatori, gli empi, i malati di mente».
Ecco perché un eccelso genio come Citati non viene ricevuto. Questa «simpatica» considerazione poteva bastare al professore per autoconsolarsi e placarsi. Ma qualche perfido diavoletto menzognero gli deve aver soffiato nell'orecchio: «Guarda che questa non te la passano nemmeno i lettori di Repubblica, qualcuno sospetterà persino che in Vaticano ti considerino una fetecchia a confronto della Fallaci». Non sia mai, ha gridato l'orgoglio ferito. Qui dev'essersi scatenato un terremoto nel mondo interiore citatiano.
Cosicché il letterato Pietro, esacerbato, ha sferrato l'attacco al Successore di Pietro in persona, tiè, così impara a non inchinarsi al genio imperituro del Citati: «Il Papa» ha testualmente scritto il letterato «non è, come noi cerchiamo penosamente di essere, una persona per bene. La Chiesa Cattolica non è un'associazione di virtuosi: né la fede ha molto a che fare con la morale comune e la civiltà politica».
Con questi «eleganti» giudizi l'illustre letterato ha pensato di aver seppellito in una pozza di fango e di guano: 1) la categoria di coloro che vengono ricevuti dal Papa, 2) il Papa stesso e 3) la Chiesa cattolica. Poteva anche bastare. Ma non a Citati. Che ha voluto generosamente rivelarci qualcosa che non avevamo affatto sospettato: «Provo una profonda avversione per Oriana Fallaci: questa donna esibizionista, che pretende di essere la nuova Giovanna d'Arco dell'Occidente. Qualsiasi cosa scriva, parla soltanto del suo grandioso ego».
E questo un asceta umile come Citati proprio non lo può accettare. È nota infatti la sua modestia, la sua autoironia, la sua mancanza di boria intellettuale. Quelli pieni di sé lui proprio non li sopporta. In genere agli intellettuali e alle grandi firme dei salotti e dei giornali non va giù neanche l'enorme tiratura dei libri della Fallaci e la sua straordinaria popolarità. Ma a Citati no, lui nutre un'inestinguibile ostilità verso la Fallaci per ben altri e nobili motivi. Ecco quali: «È una giornalista ignorantissima e bugiardissima».
E questo, per chi ama la gnosi come lui, è il peccato supremo. Qui però nasce il caso o almeno il casino. Perché, per dimostrare la supposta ignoranza della Fallaci, Citati infila una serie di fantasiosi e infondati luoghi comuni che fanno sinceramente divertire e propendere per la Fallaci. Innanzitutto ricicla la storiella del califfato di Cordoba come «il luogo più civile della terra» (te lo raccomando: è tutta da ridere), poi ripete la solfa della cultura greca che sarebbe stata trasmessa a ebrei e cristiani «non da Agostino, ma dalle traduzioni arabe dei testi antichi». Ha mai sospettato, Citati, che gli arabi abbiano ricevuto i testi greci nel VII-VIII secolo proprio dagli autori cristiani (vedi i caldei)? Ed è mai stato informato del «capolavoro» islamico di quel tempo: l'incendio e la distruzione della favolosa biblioteca di Alessandria, uno dei più grandi disastri della cultura mondiale? Ha mai saputo che gli «illuminati» musulmani bruciarono quei preziosi manoscritti per scaldare i loro cessi per mesi e mesi?
Poi Citati - come fosse un clamoroso scoop - svela che altri, ben prima dei musulmani, ritennero che la crocifissione di Gesù sia stata solo apparente. Solo che chiama «cristiani» questi predecessori, dimenticando di dire che erano sette eretiche condannate e scomunicate dalla Chiesa. Definire «un'idea cristiana» quella per cui «Cristo non muore sulla croce» non è una topica, è una barzelletta. Memorabile.
Insomma, ci si chiede: Citati ha le carte in regola per fare gli esami alla Fallaci? C'è da chiederselo anche perché di recente la stessa autorevole rivista dei gesuiti, la Civiltà Cattolica, aveva pizzicato proprio Citati. Un vistoso articolo del mensile intitolato «Disinformazione e superficialità nell'uso della dottrina cristiana» esordisce così: «Un cristiano anche mediamente istruito resta spesso di stucco quando legge sui giornali e sulle riviste certi giudizi sul cristianesimo e sulla sua dottrina formulati da uomini talvolta esperti di scienze religiose. Qualche esempio. Pietro Citati: Quando si è incarnato, Gesù è diventato anche una persona. È morto sulla croce per salvare, cioè far diventare persone miliardi di esseri umani (la Repubblica, 15 marzo 2005)».
A riproporre queste righe è stato, ieri, Sandro Magister, nel suo blog sull'Espresso, il settimanale cugino di Repubblica. Quindi un insospettabile. Che menziona sarcasticamente pure l'articolo di ieri. Io stesso ricordo un'altra trovata citatiana che mandò in sollucchero Eugenio Scalfari, quella secondo cui «la compassione del Buddha ha modellato la sensibilità occidentale». Non resta che complimentarsi per la divertente battuta. Perché se voleva essere qualcosa di diverso da una battuta di spirito c'è da avvilirsi.
Dopotutto però Citati merita comprensione, anche se la Fallaci gli risponderà con il lanciafiamme. Dietro questo suo articolo, sinceramente imbarazzante, fa capolino forse anche il desiderio vero e inconfessato di incontrare lui pure il Vicario di Cristo (del resto tutto il mondo laico dei grandi giornali, che sfoggia anticlericalismo, mostra poi di subire il fascino e l'attrazione della Chiesa e di Pietro).
Quello che Citati non sa è che incontrare il Papa è la cosa più facile del mondo. Basta chiederlo (come ha fatto la Fallaci). È questo che lui e quelli come Scalfari non intendono fare. È proprio vero che «il Papa riceve tutti gli esseri umani». Infatti chiunque può partecipare all'udienza del mercoledì, stringergli la mano, parlargli o pregare con lui alla sua messa, alle sue visite pastorali. Giovanni Paolo II un giorno fece un viaggio in un lontano Paese asiatico addirittura per 120 cristiani. Fece capire che anche per uno solo si sarebbe mosso.
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