Palazzi e negozi di lusso a Londra Ecco il tesoro di mattoni del Vaticano

Secondo il Guardian, è frutto di una donazione di Mussolini ed è gestito da società offshore. La Santa Sede: "Stupiti: è tutto noto"

Palazzi e negozi di lusso a Londra Ecco il tesoro di mattoni del Vaticano

I soldi del Vaticano, la sua banca e i suoi tesori, misteri che iniziano oramai a essere un'ossessione per molti. Dopo la tegola della Banca d'Italia che ha provveduto al blocco di tutti i Pos degli esercizi commerciali all'interno delle mura leonine per un conto sospetto da quaranta milioni di euro, ecco un articolo del Guardian di ieri che si dice sicuro di aver scovato proprietà immobiliari di altissimo pregio a Londra che fanno capo al Vaticano il quale si avvale, dice lo stesso quotidiano, di «una struttura offshore». Insomma, un patrimonio nascosto fatto di abitazioni e uffici extra lusso, nel cuore della City.

Dice il Guardian che il portafoglio internazionale della Chiesa è stato realizzato nel corso degli anni grazie ai contanti consegnati da Benito Mussolini in cambio del riconoscimento pontificio del regime fascista attraverso il concordato del 1929. Diverse palazzine e uffici nel Regno Unito sono state acquistate attraverso la società britannica Grolux Investments Ltd, che detiene anche le altre proprietà sempre nel Regno Unito. La Grolux ha ereditato il suo portafoglio grazie a una riorganizzazione nel 1999 di due società (Grolux Estates Ltd e Cheylesmore, ndr).

Le azioni di queste imprese erano detenute da una società di nome Profima, la cui sede presentava l'indirizzo della banca JP Morgan a New York. I documenti d'archivio che il Guardian è riuscito a fare suoi rivelano che la Profima appartiene al Vaticano sin dalla seconda guerra mondiale, quando i servizi segreti britannici la accusarono di «attività contrarie agli interessi degli Alleati». In particolare le accuse erano rivolte al finanziere del Papa, Bernardino Nogara, l'uomo che aveva preso il controllo di un capitale di 65 milioni di euro (al valore attuale) ottenuto dalla Santa Sede in contanti, da parte appunto di Mussolini, come contraccambio per il riconoscimento dello stato fascista, fin dai primi anni Trenta.

Pochi turisti di passaggio a Londra, scrive ancora il quotidiano britannico, potrebbero mai immaginare che i locali di Bulgari, le gioiellerie di lusso di New Bond Street, avessero qualcosa a che fare con il Vaticano? Così come la sede della vicina ricca banca d'investimento Altium Capital, all'angolo tra St James's Square and Pall Mall? Eppure, in realtà, questi uffici situati in uno dei quartieri più lussuosi di Londra farebbero parte appunto di questo impero segreto immobiliare e commerciale di proprietà del Papato attraverso queste società segrete i cui i referenti, però, una volta individuati, si sono decisamente trincerati dietro la facoltà di mantenere riservate ogni informazione in merito. Come in silenzio è rimasto il nunzio apostolico a Londra, l'arcivescovo Antonio Mennini, a cui il Guardian ha provato a chiedere un parere.

La reazione della Santa Sede, naturalmente, non si è fatta attendere: «Sono stupefatto per l'articolo del Guardian perché mi sembra provenire da qualcuno che sta tra gli asteroidi», ha detto padre Federico Lombardi nel giorno in cui lascia la direzione del Centro televisivo vaticano - al suo posto Dario Edoardo Viganò, attuale direttore della Rivista del Cinematografo e direttore del Centro Lateranense Alti Studi - e contestualmente vede arrivare nella sala stampa vaticana che egli continua a dirigere un nuovo vice direttore, il salernitano Angelo Scelzo, già sottosegretario del Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali.

Dice Lombardi: «Sono cose note da ottant'anni, con il Trattato del Laterano, e chi voleva una divulgazione del tema a livello popolare si poteva leggere Finanze vaticane di Benny Lai».

Lai, decano dei vaticanisti, non ha però soltanto mappato le finanze della Santa Sede, ma ne ha anche descritto i lati più oscuri: il caso Ior/Ambrosiano, i rapporti del Vaticano con il banchiere Michele Sindona, la storia di Paul Marcinkus, capo dello Ior ai tempi del caso Ambrosiano.

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