Le dimissioni di Giuseppe Mussari dall'Associazione delle banche italiane erano attese da un momento all'altro. Da mesi era sotto scacco per un'inchiesta sull'operazione di acquisto della Banca Antonveneta da parte del Monte dei Paschi di Siena, di cui era presidente, per 9 miliardi, rivelatasi un bagno di sangue. Poi un buco di bilancio di 500 milioni in prodotti derivati scoperto da poco. In questi giorni il cerchio si stava chiudendo. Non a caso Mussari aveva cancellato da una settimana una tavola rotonda della Uilca a cui era stato invitato ieri a Bologna. E la legnata finale è arrivata proprio ieri mattina, con la rivelazione, sul Fatto Quotidiano, di un'inedita operazione del Monte dei Paschi in prodotti derivati, ordinata da Mussari nel 2009 e poi causa di una perdita di almeno 200 milioni per la banca senese, mai comunicata al cda, ignota a Bankitalia e non approvata dai revisori dei conti. La scorsa settimana era emersa un'operazione simile, del 2007: impossibile, a questo punto, conservare il posto al vertice dei banchieri italiani, già non esattamente amati da famiglie e imprese, che pagano la ristrettezza del credito causata anche dalle spericolate operazioni finanziarie di questi ultimi 10-15 anni. Al di là dei rilievi penali, per ora indecifrabili, Mussari ha realizzato che la propria posizione avrebbe indebolito l'intera categoria sia come immagine, sia in ogni tipo di confronto con le parti sociali di questo Paese. E se n'è andato.
Eppure quando nel 2010 è arrivato al vertice dell'Abi, anche grazie all'appoggio del suo futuro successore a Siena, Alessandro Profumo, allora gran capo di Unicredit, per il presidente del Monte Giuseppe Mussari sembravano aprirsi nuove e sterminate praterie. La preparazione e la cultura dell'avvocato penalista, origini calabresi, classe 1962, giovane militante del Pci negli anni Settanta, inventatosi banchiere, fin dalle sue convincenti prime uscite televisive come capo dei banchieri facevano pensare anche a una carriera politica. La capacità di dialogare tanto con Massimo d'Alema quanto con Giulio Tremonti o Cesare Geronzi gli garantivano stima trasversale. Qualcuno poteva tranquillamente immaginarlo futuro uomo di governo di un centro-sinistra moderato. Ma il germe che ieri ha provocato la sua caduta era già in circolo nei gangli vitali del Monte da tempo. In un certo senso da decenni.
Poco importa capire cosa tra Antonveneta e i derivati sia humanum, cosa diabolicum. Non è questo il punto. Che invece alberga nel sistema Siena, nell'intreccio tra politica locale, potere e città che ha ucciso la più antica banca italiana. Un intreccio che, piaccia o meno, è storicamente stato coperto dall'ex Pci, poi Ds, oggi Pd. Il partito che ha da sempre vinto le elezioni del Comune e della Provincia senese, gli enti che controllano la Fondazione Mps, che a sua volta nomina i vertici della banca. Questo corto circuito si alimentava attraverso i dividendi che la banca pagava alla Fondazione (di cui Mussari è stato presidente prima di passare alla banca), la quale rimetteva in circolo sottoforma di erogazioni sul territorio. E il cerchio si chiudeva.
L'operazione Antonveneta non è stato altro che il passo più lungo della gamba, effettuato al posto sbagliato nel momento sbagliato. E ancora una volta l'intreccio tra politica e affari non è servito alle migliori intenzioni né dell'una, né dell'altra.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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