La sinistra deve un'ennesima volta confrontarsi con aspetti della Resistenza che erano stati o rimossi o edulcorati, e un'ennesima volta si avventa nella polemica con argomenti tra l'imbarazzato e il prefabbricato. Il revival di tanti dubbi ha avuto origine - come ha spiegato esaurientemente ieri Luigi Mascheroni - da un saggio di Sergio Luzzatto, Partigia (Mondadori), in cui si racconta un episodio fosco della breve esperienza partigiana di Primo Levi. Due ragazzi del gruppo, operante in Val d'Aosta, cui Levi apparteneva, furono messi a morte, dai loro stessi compagni, con l'accusa di furto.
Dopo la Liberazione i giustiziati vennero esaltati come martiri della lotta antifascista, successivamente relegati nel sottobosco tenebroso della Storia. S'è accennato ai riflessi pavloviani d'un preciso schieramento politico e culturale se il mito resistenziale sembra essere intaccato da ciò che i documenti raccontano. Di questo atteggiamento sono testimonianza gli articoli con cui la Repubblica è tornata ieri sul libro di Luzzatto. La prima obiezione a queste evocazioni di fatti remoti ma importanti è che non si tratta di novità, tutto era stato accertato e divulgato da tempo a opera di un'infinità di ricercatori. Sciocco gabellare come novità stantii luoghi comuni (la stessa critica che fu mossa al Sangue dei vinti di Pansa). Secondo Guido Crainz non occorre altro dopo «la stagione di studi che ancora continua, e che ha affrontato ampiamente le pagine più aspre e dure del '43-45 e poi il protrarsi della violenza armata contro i fascisti».
Se si è indagato a fondo, riesce difficile capire perché il racconto di episodi veri tocchi così fortemente un nervo scoperto del resistenzialismo. La seconda obiezione è: ma perché fare dello scandalismo retrospettivo e mirante solo a offuscare la nobiltà resistenziale? Infatti Giovanni De Luna rimprovera a chi indugia su questi fatti e misfatti remoti la «mancanza di consapevolezza dei contesti storici». Ernesto Ferrero denuncia un «uso improprio di estrogeni storiografici» e aggiunge: «Proprio perché Levi non ha creduto alla retorica della Resistenza era profondamente amareggiato dalle furbizie del revisionismo».
Eccolo il nemico, quel revisionismo astuto che finge di voler indagare su alcune verità e invece getta fango. Lo si ammette, anche nella Resistenza c'era del marcio, ma abilitati a discuterne, quando lo ritengano opportuno, sono i custodi del tempio. Guai agli intrusi (anche se ideologicamente affini come Luzzatto). Contro i quali, se pretendono di metter piede nel tempio, viene scagliata proprio la retorica che Primo Levi sdegnava. La semplice ricerca di verità anche amare dev'essere inibita a chi è fuori dal giro.
L'inoltrarsi nel passato è meritorio quando si accanisce contro soldati delle SS che sono ormai relitti umani, e che se ne andranno presto all'altro mondo senza che la legge debba intervenire. Diventa biasimevole se, conservando il massimo rispetto per la lotta di chi voleva la libertà, di quella lotta narra i risvolti truci e sanguinari.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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