Genova per noi è una metafora dell'Italia. Non ci si muove più. È da cinque giorni un intreccio di ingorghi, di auto che strombazzano sotto la pioggia, di vicoli ciechi e strade senza uscita. È più di una paralisi. È continuare a sbattere contro un muro invisibile, che imprigiona e ricaccia indietro, al punto di partenza, al passato. Lo sciopero dei mezzi di trasporto va avanti ad oltranza e segna la sconfitta politica del sindaco «aristorosso» Doria. Ma è anche il messaggio di lotta furibonda di un sindacato che ormai non ha più nessuna remora a mettere in ginocchio una città. E lo fa mentre ovunque monta la rabbia per un governo che scherza con l'Imu, aumenta il prezzo della benzina e chiede ancora più soldi e più sangue a imprese e cittadini. È un gioco sporco, in cui lo Stato è cattivo e il sindacato vuole esserlo di più. Perché l'obiettivo è prendersi soprattutto uno spazio politico, fare concorrenza a Grillo, che subito ha preso la palla al balzo per cavalcare la protesta nelle strade di casa. È una rincorsa a chi urla più forte, al vaffa più estremista e al caos come soluzione a tutti i problemi che ingabbiano il Paese.
Il paradosso di questa storia è che proprio la sinistra non sa più dare risposte alla sinistra. Non sa come gestire una crisi economica e sociale e non ammette il fallimento delle politiche pubbliche. Genova è la miccia, perché già si parla di imitare i tranvieri liguri. L'Atac a Roma è pronta alla guerra, chiedono mille nuove assunzioni, nuovi mezzi, arretrati e sblocco degli scatti, altrimenti la settimana prima di Natale bloccheranno la capitale. Altri seguiranno. E dopo i sindacati e Grillo non vuole perdere certo l'occasione anche la sinistra extra Pd. Riappare un fantasma del passato come Marco Ferrando a dettare tempi e modi della rivoluzione: «Lo sciopero ad oltranza dei tranvieri di Genova è un esempio per i lavoratori di tutta Italia. Solo la lotta radicale e di massa dei lavoratori può strappare risultati, non certo le recite di Renzi o di Grillo, entrambi avversari del mondo del lavoro». Insomma, c'è in giro la voglia di tornare al più presto agli anni '70. Una corsa verso il passato che non si limita più soltanto alle proteste No Tav, ma che ogni giorno trova nuovi pifferai. In fondo questa lunga crisi è l'occasione che molti nostalgici, con ancora l'eskimo nel guardaroba, stavano aspettando da una vita. E siccome sono convinti che questa sia l'onda giusta c'è la gara a chi si mette in prima fila per inscenare il gioco del caos. Nessuno invece si preoccupa di chi questo caos deve poi pagarlo, tipo i genovesi che si ritrovano a fare i conti con un altro anno di vacche magre e la città invivibile.
Ma se i nostalgici degli anni '70 fanno il loro mestiere, c'è chi questa situazione la favorisce per incapacità o miopia. L'esasperazione arriva anche perché da troppi anni l'Italia vive in una sorta di sortilegio dove tutto è immobile. Troppi no, troppi non si tocca, troppa paura di qualsiasi riforma hanno fatto incancrenire vecchi problemi e soffocato l'economia. Abbiamo continuato a chiedere allo Stato altri soldi, altre clientele, altri privilegi.
E pochi hanno voluto prendere atto della realtà: questo Stato inefficiente e sprecone è in bancarotta. Eppure alla base dei disordini di Genova c'è ancora questo: vogliamo i soldi pubblici, vogliamo i soldi dallo Stato. È così che il sindacato e lo stesso Pd, con le loro politiche «conservatrici», hanno finito per creare il caos reazionario. Scavalcati a sinistra da chi è ancora più vecchio di loro e che porta avanti un solo progetto: il nichilismo, il disordine per il disordine.
A complicare le cose ci si è messa anche la tenaglia Palazzo Chigi-Quirinale, questa coppia che tiene in ostaggio la politica italiana. Il giovane Letta che vive ormai di piccoli bluff, con il trucco di spostare ogni giorno più avanti la fine della grande depressione, con le sue favole sulle palle d'acciaio, mentre l'Europa continua a somministrarci salassi di reddito e cure di austerità, forse con lo scopo segreto di trattarci come cavie: quanto un Paese può resistere a questa tortura?
Magari confrontando le reazioni divergenti dell'Italia e della Grecia. L'altro, il grande stregone del Colle, sua maestà Napolitano, falciando ogni possibilità di scelta, sospendendo la democrazia e ibernando tutto. Quest'uomo è convinto che solo i burocrati scelti dall'alto possono trovare la ricetta vincente.
Il risultato è che Napolitano non si fida della politica, la politica non risponde, i reazionari scommettono sull'esplosione dell'intero Paese e gli italiani si ripetono sempre più disillusi: ha da passà 'a nuttata. Solo che anche l'ultimo notturno è bloccato dai tranvieri.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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