Zorro? È veneziano. E riscrive in dialetto i nomi delle strade

Esce solo di notte, nessuno sa chi sia, per qualcuno èun eroe per altri un vandalo. Ma la città ora ha tutta un’altra faccia

Qualcuno lo considera semplicemente un vandalo, qualcuno lo considera uno scemo patentato, qualcuno lo considera uno Zorro vendicatore. Però in quest'ultimo caso bisogna usare molta cautela: se Zorro vogliamo chiamarlo, meglio adeguarsi subito chiamandolo Zoro. La madre di tutte le sue battaglie è proprio questa, contro l'odiata doppia consonante che sa troppo di italiano. Neanche fosse a Trastevere. Giorno dopo giorno, questo Zoro (sempre che non sia un gruppo di Zori) sta diventando sempre più mitico nella laguna veneziana. Nessuno lo conosce, nessuno l'ha mai visto di persona: quando sorge il sole, è possibile soltanto contemplare i segni grafici del suo passaggio. La nuova toponomastica di Venezia, che una recente riforma ha voluto volgere in lingua tricolore, improvvisamente si ritrova corretta allo spray, con un drastico ritorno al veneto. Tra le tante grane esistenziali che tormentano la gloriosa epopea della Serenissima, dall'acqua alta alle mastodontiche navi crociera in slalom tra le gondole, questa dello Zoro nostalgico ha quanto meno il sapore di un discutibile folklore. Lui evidentemente si sente un nuovo paladino delle tradizioni, sulle orme del Bossi prima maniera che scendeva con le ampolle dal Monviso per rendere omaggio al dio Po. Questa nuova crociata punta a salvare dalla modernità le avite diciture, artisticamente dipinte come affreschi sui leggendari «nizioletti» (traduzione letterale: lenzuolini), con quella grafica originale che qualunque visitatore occasionale fissa subito nel ricordo quando riparte verso casa. La contesa ovviamente non è sui nizioletti, che nessuno si è mai sognato di mettere in discussione e tanto meno di sostituire con cartellonistica moderna. Il punto è la lingua usata. Secondo Zoro, veneziana è sempre rimasta, veneziana deve eternamente rimanere. E via con lo spray, in un impeto catartico degno delle cause più alte e più memorabili. «Non è questo il modo - commenta sui giornali locali l'assessore alla toponomastica Tiziana Agostini -: ci sono altri modi per discutere, questi sono soltanto atti vandalici». La citadinansa - ostrega, m'è scappato un colpo da Zoro - la cittadinanza sembra più divertita che indignata: i nostalgici fanno il tifo perché il nottambulo continui la sua battaglia e resti inafferrabile nell'ombra, altri lo paragonano ai moderni grafittari che deturpano il paesaggio urbano, i distaccati e i disillusi si chiedono semplicemente se non abbia niente di meglio da fare nella vita, almeno di notte. L'idea che prima o poi questo Zoro di ultima generazione ci lascerà la zampa è comunque la più accreditata. La video sorveglianza che sovrintende ormai la vita di tutte le nostre città finirà prima o poi per costargli cara. Ad ogni buon conto, bisognerà che tutti quanti ci mettiamo d'accordo in modo definitivo. Se la tradizione locale - l'idioma prima di ogni altra cosa - va salvaguardata come un valore assoluto e intangibile, dobbiamo come minimo metterci tranquilli anche per le altre battaglie dislocate sul territorio cosiddetto nazionale, per dirla tutta anche e persino in Alto Adige, dove rivendicano orgogliosamente (pervicacemente) la toponomastica tirolese. Se questo è il ragionare, gli Zorri di tutti i campanili sono semplicemente degli eroi. In caso contrario, c'è poco da discutere: la lingua ufficiale è unica e universale, chi ha voglia di cullare nostalgie particolari lo faccia in privato, magari usando lo spray dentro casa. La tradizione locale è una buona cosa, ma sinceramente non se ne può più di arrivare in un qualunque luogo d'Italia e trovare i cartelli stradali immancabilmente corretti con bombolette e pennellesse, all'insegna dello svacco più totale.

Volenti o nolenti, ci siamo riunificati da più di un secolo e mezzo. Bisognerà rassegnarsi, prima o poi. Zorro faccia il piacere: lasci un po' stare Venezia, di gente che la devasta ce n'è già abbastanza. Gentilmente, la smetta di fare il mona.

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