Abbiamo voluto la bici e ora pedaliamo (felici)

Hai voluto la bici, pedala: è un'espressione multiuso, che applichiamo in mille situazioni. Ma non conosco un'espressione più antitetica rispetto alla realtà: chi vuole la bicicletta, lo sanno anche i bambini sin da bambini, è ben lieto di pedalare

Abbiamo voluto la bici e ora pedaliamo (felici)

Hai voluto la bici, pedala: è un'espressione multiuso, vagamente minacciosa, comunque afflittiva, che applichiamo in mille situazioni della vita. Ma non conosco un'espressione più cretinamente antitetica rispetto alla sua esplicazione nella realtà: chi vuole la bicicletta, lo sanno anche i bambini sin da bambini, è ben lieto di pedalare. Non lo vive come una minaccia o come un supplizio. Non smetterebbe mai, non ne farebbe mai a meno.

Purtroppo, il destino di questo strano attrezzo a trazione muscolare è scritto nel suo nome: nato come ciclo, bi o tri, è ciclicamente condannato a passare di moda - depositato in un angolo umido e remoto della cantina - o a diventare boom. Agli inizi del Novecento era status-symbol e oggetto dei desideri, negli anni Cinquanta e Sessanta residuato vagamente vergognoso nella febbrile civiltà dell'automobile. Cicli e ricicli storici. Ora siamo nella fase virtuosa: due milioni di pezzi venduti nel 2012, più duecentomila rispetto all'anno prima, uno dei pochissimi più nella nostra disastrata congiuntura industriale, con il Made in Italy ammirato, agognato, imitato in tutto il mondo. In questa nuova primavera del buonsenso e delle buone abitudini, si pedala per salute (usando la testa, non ci sono controindicazioni neppure per i cardiopatici), si pedala per moda (persino quest'ultima orrenda e contronatura dello scatto fisso, cioè pedalata dura e obbligata, che inchioda le gambe al primo strappetto, ma considerata molto newyorkese e molto londinese, dunque molto trendy, dunque molto ganza), ma si pedala soprattutto per risparmio: chi si è convertito per problemi di bilancio familiare sa bene di cosa e di quanto parlo, ogni mese.
È pur vero che una bicicletta da esaltati può costare anche 15mila euro, senza neppure sforzarsi troppo negli optional, ma è ancora più vero che con trenta euro si possono cambiare i copertoni della vecchia Legnano del bisnonno e viaggiare per anni. Tenendo più ossigenate le nostre città e le nostre arterie.
Sia per salute, sia per moda, sia per risparmio, sia per tutte queste motivazioni insieme, resta il dato di cronaca e di storia contemporanea: mai la bicicletta ha vissuto un periodo così magico. Se cinesi e indiani pedalano ancora per necessità, considerando la bici un mezzo di locomozione povero, l'Occidente opulento pedala per scelta, considerando la bici un mezzo di locomozione ricco. Di valori e di significati. Interi continenti, come l'America e l'Australia, ne stanno facendo un autentico totem civico e anche culturale, massima espressione dei nuovi stili di vita, più ecologici e più felici. Non è un caso che ai recenti Giochi olimpici di Londra, là dove si sono visti costretti a mandare i militari come figuranti per riempire qualche gradinata nei vari impianti, la gara di ciclismo abbia raccolto a bordo strada due milioni di persone, una moltitudine che nessun concerto, nessuna predicazione, tanto meno nessun comizio politico può lontanamente immaginare.

Sembra impossibile: in questa interminabile stagione di depressioni economiche e umorali, sopravvive la felicità e il benessere del pianeta pedivella. Però c'è il però. Proprio dove più forte è la riscoperta - per salute, per moda, per risparmio -, cioè nelle città, proprio lì è più arduo il nobile esercizio. Bisogna riconoscerlo: andare in bicicletta è tanto bello quanto rischioso. Ormai è consigliabile lasciare sempre due righe di testamento prima di uscire dal box. Una nutrita serie di massonerie trama nell'ombra per ordire attentati. C'è quella delle signore-bene parcheggiate a bordostrada, che telefonano con la destra e aprono la portiera con la sinistra, sfigurando l'innocente gimondi in arrivo alle spalle. C'è quella dei camionisti che stringono in curva il candido gimondi, stritolandolo orrendamente contro spigoli e guard-rail. C'è pure quella degli assessori che in campagna elettorale promettono ubertose città con lussureggianti piste ciclabili, salvo poi realizzarne pochi metri ad uso dei furgoni per carico-scarico merci.

Sì, è bellissima, ma pure durissima, la vita del moderno ciclista. Eppure, le forze del male non vinceranno. Abbiamo voluto la bici e non c'è nessuno che ci impedirà di pedalare. Perché la bici è salute, la bici è moda, la bici è risparmio. Ma chi la usa davvero sa che è anche e soprattutto un'altra cosa, la migliore di tutte: la bici è libertà.

In tempi di crisi economica i furti di bici aumentano. Solo nell'ultimo mese e mezzo, infatti, le agenzie di stampa e i media locali hanno registrato decine e decine di furti, dei quali hanno dato notizia non per il fatto in sé ma per i «contorni» spesso violenti: per i proprietari la bici torna un oggetto prezioso, da difendere a tutti i costi come nel film «Ladri di biciclette».

A San Dona' di Piave (Venezia), un pensionato ha visto uno sconosciuto in sella alla bici che gli era stata rubata e per riaverla è stato picchiato dal presunto ladro. Ancora peggio è andata a un anziano di Milano, che è stato mandato all'ospedale in prognosi riservata dal ladro che gli voleva rubare la bici.

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