Gli aiuti (veri) che servono al Lingotto

Il gruppo non vuole assistenzialismo, ma va sostenuto con la ricerca. Così progredisce l'intero Paese

Gli aiuti (veri) che servono al Lingotto

Il presidente del gruppo Fiat John Elkann e l'amministratore delegato Sergio Marchionne in­contrano il premier Monti che li ha convocati, alla presenza dei Mi­nis­tri Corrado Passera ed Elsa For­nero, in relazione al progetto di «Fabbrica Italia» del 2010, che vie­ne revisionato. Esso prevedeva un piano di investimenti di 20 mi­liardi, per il rilancio degli stabili­menti di Fiat Auto in Italia, che pe­rò sono in cassa integrazione ordi­naria, perché con la flessione del Pil del 2,4% nel 2012 e un magro fu­turo nel 2013, il mercato dell'auto in Italia va male. E almeno uno dei quattro grandi stabilimenti è a ri­schio di chiusura.

Il governo attuale dovrebbe qualche spiegazione, non solo a Fiat, ma in genere alle imprese: si­no ad ora si è occupato solo di nuo­ve imposte e di raid fiscali contro il lusso grande e piccolo. La reces­sione poteva essere minore con un clima meno depressivo. Il nuo­vo piano di Fabbrica Italia non è noto. Marchionne ha detto che in Brasile sta facendo una nuova grande fabbrica sia perché vende molto, sia perché il governo brasi­liano ha dato elevati finanziamen­ti. Che cosa può volere Fiat per mantenere in Italia una sostanzia­le produzione di auto? In Europa non sono ammissibili le sovven­zioni alle imprese che distorcono la concorrenza. E Marchionne qualche anno fa ha dichiarato che non voleva assistenzialismi stata­li. Ma, in cambio, chiedeva libertà di contratti. Questa linea va man­tenuta.

La politica industriale corpora­tiva ha danneggiato l'industria, favorito alcuni (spesso perché le­gati a banche o con l'occhio striz­zato a sinistra all'ex Pci e a Cgil), oberato il contribuente, inquina­to la politica. Ma esistono stru­menti finanziari conformi al mer­cato, utili per rilanciare la nostra economia, di fronte alle sfide del ventunesimo secolo: quelle del progresso tecnologico e della sal­vaguardia dell'ambiente. Il setto­re auto può ricevere finanzia­menti italiani (ed anche euro­pei) per la ricerca tecnologica, per lo sviluppo di veicoli e motori eco-compatibili. Vetture e carbu­ranti a basso inquinamento pos­sono ricevere benefici fiscali. Nel Sud, nelle Regioni del cosid­dette «obiettivo 1», sono possibi­li i finanziamenti all'industria sui fondi italiani ed europei. Spesso il governo e le regioni me­rid­ionali non utilizzano queste ri­sorse (che la Germania ha usato per Volkswagen) perché le proce­dure sono complicate o le disperdono in micro iniziative.

C'è poi la que­stione dei con­tratti di lavoro aziendali Fiat, ostacolati da una legislazione inade­guata (la riforma Fornero ha sorvolato su questo tema per non di­sturbare Cgil).
E c'è poi la cassa in­tegrazione che può essere con­cessa per favorire le ristruttura­zioni. A leggere certa stampa si ha la sensazione che Elkan e Mar­chionne siano convocati come colpevoli, per dare spiegazioni, quasi un interrogato­rio di «persone infor­mate dei fatti». Il che è paradossa­le. Senza Mar­chionne (scelto dagli azionisti di controllo), attual­mente il gruppo Fiat sarebbe un rot­tame mal strutturato, non una multinazionale che fa utili, ben articolata su due sot­to gruppi con elevate sinergie. C'è Fiat spa, dedicata all'auto e composta di Fiat Automobiles (con i marchi Fiat, Lancia, Alfa Ro­meo e Abarth), di Chrysler (che ha i brand Dodge, Jeep, Ram, Srt, Mpar e Fiat), Maserati, Ferrari e componentistica e sistemi di pro­duzione (Magneti Marelli, Co­mau, Teksid, Fiat Power Train Te­chnologies). E c'è'anche Fiat in­dustrial dedicata ai veicoli indu­striali a sua volta articolata in Ive­co ( camion), Cnh (macchine agri­cole e per le costruzioni) e Power­train (motori innovativi per i vari settori incluso quello marino).

Marchionne ed Elkann hanno due gravi colpe: hanno disturbato il manovratore con un contratto di lavoro aziendale innovativo, ba­sato sul merito e la produttività e sul controllo dei comportamenti indisciplinati, approvato dalla maggioranza dei lavoratori ma non da Cgil .E hanno fatto uscire Fiat da Confindustria, che insiste sul patto corporativo nazionale. Elkann a suo tempo si è messo an­che in conflitto con la Banca San Paolo Imi, ora integrata in Intesa San Paolo, perché con una abile manovra finanziaria internazio­nale è riuscito a mantenere nella sua famiglia il controllo del grup­po Fiat che stava passando alla banca tramite la conversione in azioni di un prestito «converten­do » acceso quando il Lingotto era allo stremo.

C'è da augurarsi che ora i rancori e le antipatie non pre­valgano sul fatto­che è possibile se­guire l'esempio di Barack Obama, che è riuscito far risanare Chrysler da Fiat, con metodi di economia di mercato, recuperando i soldi dell'intervento.

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