Il salvataggio di Alitalia è la prima grande operazione di sistema del governo Letta bis. I protagonisti dell'accordo che ha visto entrare le Poste tra i soci della ex compagnia di bandiera, insieme con chi dall'esterno ha visto di buon occhio l'operazione, rappresentano un primo embrione dei nuovi possibili equilibri tra poteri forti e politica. Ma soprattutto, e più in dettaglio, di quelli tra grandi imprese e banche da un lato, e il centro destra, nella sua attuale evoluzione, dall'altro. È questa la lettura in controluce dei passaggi che hanno portato, negli ultimi otto giorni, il governo a prendere per mano la società sull'orlo del crac, per poi individuare la soluzione Poste.
Non a caso il «La» all'operazione è arrivato a inizio settimana da Paolo Scaroni, ad dell'Eni, che con il suo ultimatum sulle forniture di carburante, con il rischio di lasciare a terra gli aerei già da oggi, ha fatto compiere al dossier Alitalia un immediato salto di qualità in termini di urgenza e drammaticità. Su questo assist il governo Letta-Alfano, messi da parte i soci, ha preso in mano la situazione e ha sondato in fretta ogni possibile soluzione: dalla Trenitalia di Moretti, bocciata per problemi antitrust, alla Cassa Depositi, rivelatasi impraticabile. Fino alle Poste, dove il manager pubblico attualmente più abile e quotato, al punto da essere indicato come futuro presidente di Telecom, Massimo Sarmi, ha colto al volo un'occasione con più opportunità che costi, essendo questi ultimi limitati a un investimento di 75 milioni su un miliardo e più di utili del suo gruppo.
La trattativa si è svolta con la copertura del sindacato bianco, la Cisl, molto forte sia in posta, sia a Fiumicino; e con l'accompagnamento del principale quotidiano romano, il Messaggero di Francesco Gaetano Caltagirone, che per primo ha dato la notizia e ha poi sostenuto il governo su questa strada. Completa il quadro il ruolo, via via cresciuto a dismisura in termini di visibilità, del ministro dei Trasporti Maurizio Lupi, che nella partita ha il significato di schierare a favore il movimento di Cl. Questo coté sarebbe stato incompleto senza l'assenso delle due grandi banche italiane. Ma con un distinguo: mentre Intesa era già impegnata in Alitalia, tanto da essere anche socia, in questa fase è emerso il ruolo proattivo di Unicredit, condiviso dai due vicepresidenti più «politici» del gruppo, Fabrizio Palenzona e Luca di Montezemolo; oltre che dai soci privati di maggior peso, tra cui lo stesso Caltagirone. Così il successo dell'operazione è stato sancito dallo stesso che l'aveva avviata: Scaroni, con la sua dichiarazione sul cessato allarme, ha chiuso la partita.
Il forte richiamo alla discontinuità manageriale arrivato successivamente dal governo non ha fatto che sottolineare che per Alitalia si è aperto un altro capitolo, con nuovi interlocutori. Mentre per quanto riguarda Air France, toccherà ai transalpini decidere cosa fare. Ben sapendo però, a questo punto, che dovranno trattare non più con un gruppo di soci privati, ma con una nuova architettura voluta direttamente dal governo italiano. Che, a ben vedere, è la prima «creatura» economica partorita dalle Larghe Intese.
In questo senso il salvataggio della compagnia pare una sorta di laboratorio per un futuro sistema-Italia, soprattutto nei rapporti tra il centro-destra e molti dei suoi più naturali e tradizionali interlocutori economici e finanziari. Che poi l'operazione riesca è tutto da vedere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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