Le armi spuntate della Bce e le spinte per imitare la Fed

Nella prossima riunione forse un altro taglio dei tassi. Ma circola l'ipotesi di affrontare l'acquisto di titoli di Stato, come fa la banca centrale Usa

Fin dalla nascita, la Bce porta con sè una sorta di peccato originale derivante dal concepimento di matrice tedesca. Ossessionata dall'iperinflazione scatenatasi durante la Repubblica di Weimar, Berlino ha imposto la stabilità dei prezzi come unico obiettivo da perseguire (articolo 127), espresso a chiare lettere nello statuto della banca centrale europea. In tempi normali, questa stretta sorveglianza ha più che un senso, tanto da contribuire di riflesso alla crescita economica. Viceversa, ai tempi del colera da spread, finisce per diventare un elemento auto-castrante. Con l'incancrenirsi della crisi, il pressing su Mario Draghi si è fatto non a caso sempre più insistente e viene esercitato da pesi massimi come il Fondo monetario internazionale, che ripetutamente ha sollecitato l'istituto di Francoforte ad assumere un ruolo di contrasto più attivo.

In linea teorica Draghi è in una botte di ferro: sempre come da statuto, la stabilità dei prezzi è garantita dall'indipendenza totale della Bce, tutelata da un bilancio proprio e da una gestione finanziaria distinta da quella dell'Unione europea. Rischiano pertanto di cadere nel vuoto i continui inviti ad adottare una condotta operativa in stile Federal Reserve. La Fed viene continuamente tirata in ballo come prestatore di ultima istanza, ma la stessa funzione viene svolta anche dai principali custodi monetari internazionali (per esempio dalla Banca del Giappone e da quella d'Inghilterra) e, prima dell'avvento dell'euro, questa era tra le prerogative della Banca d'Italia.

Al di là delle polemiche sulla necessità di un restyling, l'impressione è che gli spazi di manovra di Francoforte si siano ormai ridotti. Certo, nella prossima riunione del 2 agosto è possibile dare un'altra sfoltita ai tassi, allo 0,75% dopo il taglio deciso nella riunione d'inizio luglio. La riduzione del costo del denaro sarebbe una misura naturale al deteriorarsi della crisi. La reazione dei mercati alla manovra varata questo mese mostra tuttavia quanto sia spuntata l'arma degli strumenti convenzionali. Ben diversa era stata la risposta quando Draghi aveva preso di petto l'impazzimento degli spread con l'acquisto di bond italiani e spagnoli. Lo shopping è però bloccato ormai da 19 settimane. E la Bce ha fatto intendere chiaramente che gli acquisti non saranno più ripresi. Mancanza di target specifici sui tassi di interesse e sui volumi degli acquisti hanno finito per far prevalere la linea dura di chi (Germania in primis) contestava il cosiddetto Securities market programme (Smp) perchè assimilabile ai vietatissimi aiuti ai governi.

Il congelamento davanti alla Corte costituzionale tedesca del fondo salva-Stati permanente Esm almeno fino a settembre, priva inoltre l'euro zona di un altro strumento contro l'emergenza. Non solo. In questo modo si annullano le possibilità (già scarse, peraltro, sempre a causa dei vincoli cui è sottoposta la banca centrale) che all'Esm e all'Efsf (l'altro firewall anti-crisi) venisse accordata la licenza bancaria (sotto la supervisione della Bce) per acquistare titoli del debito sovrano sul mercato primario.

Sulla carta rimarrebbe dunque una sola opzione. Ovvero, il lancio di una terza asta “a rubinetto“ dopo le due già varate tra dicembre e febbraio per complessivi 1.000 miliardi di euro allo scopo di finanziare le banche a tassi molto agevolati. Questa forma di finanziamento aveva contribuito a stemperare l'alta tensione sui bond periferici grazie ai massicci acquisti di titoli effettuati dalle banche che avevano beneficiato dei prestiti, ma ora gli esperti sono scettici sull'efficacia di una simile operazione. Anche in caso di un allungamento delle scadenze superiore ai tre anni.

Non si può tuttavia scartare l'ipotesi che Draghi e i componenti del direttivo discutano, già nella riunione della prossima settimana, della possibilità di compiere il grande passo: consentire alla Bce di acquistare tutti i titoli del debito di Eurolandia, e non solo quelli dei Paesi in sofferenza.

È un'ipotesi che circola, ma che dovrà superare le prevedibili forche caudine imposte dalla Germania. Sempre che l'avvertimento di Moody's non abbia convinto Berlino che nessuno, con questa crisi, è ormai più al sicuro.

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