Arriva la «nouvelle veg» l'alta cucina senza carne

Cresce di continuo il partito del "vegetarianismo" e allora anche i grandi chef ormai si adeguano: preparando prelibatezze politicamente corrette

Arriva la «nouvelle veg» l'alta cucina senza carne

L'alta ristorazione è come una corda di violino. Vibra al minimo tocco d'archetto. I ristoranti famosi, quelli premiati dalle guide e recensiti dai critici, sono specchio di mode e modi che attraversano la società. Riflettono attitudini. Distillano tendenze. Una fra queste si sta affacciando con sempre maggior forza: il vegetarianismo. Dall'America, «continente carnivoro» per eccellenza, all'Europa si registrano sempre più casi di locali che propongono piatti e menu appositamente studiati per clienti vegetariani. Se ne è accorto anche il Wall Street Journal che, pochi giorni fa, ha dedicato a questo tema un ampio servizio, ponendo da un lato l'attenzione sul cambiamento delle abitudini alimentari della popolazione, e dall'altro sul mutamento dell'offerta nella haute cuisine.

Non è una questione di poco conto. Se abbracciata con coscienza la scelta vegetariana non ha nulla a che vedere con una dieta, magari dimagrante o salutista. È piuttosto una pratica che, attraverso la sistematica eliminazione di gran parte delle proteine di derivazione animale, persegue contemporaneamente il benessere fisico dell'uomo e il rispetto della vita degli animali. A dispetto di ciò che si può pensare, il vegetarianismo è un modo di comportamento (per alcuni una vera e propria filosofia) che risale a molto prima della nascita di Cristo (a Pitagora, considerato il primo vegetariano della storia) e nel corso dei secoli ha avuto svariati celebri adepti, fra cui Plutarco, Voltaire e Richard Wagner.

Negli Stati Uniti, già da diversi anni, la «questione vegetariana» è dibattuta. L'alta ristorazione, attenta alle esigenze di una clientela sempre più preparata, ha iniziato a proporre linee di cucina dedicate ai vegetariani. Prima piatti singoli. Poi veri e propri menu degustazione a base di soli ortaggi e frutta. Come nel caso, per esempio, di Thomas Keller, il più celebre cuoco californiano, che nel suo ristorante di Yountville, The French Laundry, serve (al prezzo di 270 dollari) un complesso menu gourmet di dieci portate di stretta osservanza vegetariana. Anche in Francia, seppure in tempi molto più recenti, si registrano casi di grandi ristoranti che, a fianco a ostriche, foie gras e agnello, propongono piatti veg. Come i famosi (e triplamente stellati dalla guida Michelin) Lasserre e Arpège. Soprattutto il cuoco di quest'ultimo, il giovane Alain Passard, si fa vanto di coltivare in proprio (senza uso di prodotti chimici) gli ortaggi che impiega poi in cucina.

In Italia il percorso vegetariano è più istintivo e meno tortuoso. Tanto la cucina dei Paesi anglosassoni è carnivora quanto la dieta mediterranea fa ampio uso di verdure, cereali e frutta. È il caso di un vegetarianismo «spurio», che nasce spontaneo dalla frequentazione quotidiana dell'orto (seppure non mancano locali di stretta osservanza, come il Joia di Milano). L'offerta vegetariana nell'alta ristorazione si propone quindi più come attenzione dei ristoratori verso singoli clienti che come tendenza generale dei consumatori.

Come nota Giovanni Santini, cuoco (insieme alla mamma Nadia) del blasonato ristorante Dal Pescatore di Canneto sull'Oglio (Mantova), «sono cambiate le esigenze nutrizionali e la sensibilità verso il benessere degli animali: il cuoco deve essere pronto a risolvere eventuali problemi, spesso legati a intolleranze alimentari (più frequenti di quanto non si pensi), così come approntare alcune pietanze che possano soddisfare le richieste di eventuali clienti vegetariani».

Insomma, nell'attesa che arrivi il tempo in cui, come ebbe a profetizzare Leonardo da Vinci, «l'uccisione di un animale sarà considerata grave delitto», il vegetariano non avrà problemi a trovare una grande tavola al quale sedersi.

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