Se non venisse dal Fondo monetario internazionale, sembrerebbe uno sgambetto a Matteo Renzi. Ieri, proprio mentre il presidente del Consiglio e il suo ministro Marianna Madia cercavano di sconfiggere gli scetticismi sulla riforma della Pubblica amministrazione, presentandola come una rivoluzione, l'Fmi ha rilanciato chiedendo all'Italia uno sforzo di modernizzazione che nemmeno il premier rottamatore si può permettere: le gabbie salariali.
Gli ispettori del Fondo, che hanno appena terminato la loro missione per valutare lo stato della nostra economia, hanno lasciato in Italia un rapporto nel quale ci chiedono di «promuovere una maggiore flessibilità dei contratti collettivi nazionali». E fin qui è un auspicio tutto sommato accettabile che riguarda il privato. Poi, però, l'Fmi ha chiesto «la differenziazione dei salari pubblici a livello regionale» che «potrebbe contribuire a migliorare il legame tra produttività e salari nel settore privato».
Un tabù dal 1969 quando, sull'onda dell'autunno caldo, l'Italia abolì i salari differenziati per aree del paese sulla base del costo della vita. Adottarli oggi porterebbe inevitabilmente i pubblici dipendenti (è inapplicabile al privato) del Sud a guadagnare meno rispetto ai colleghi del Nord. Terreno scivolosissimo per la sinistra e persino per il governo Renzi, tanto che il ministro Pier Carlo Padoan è subito corso ai ripari derubricando l'indicazione a «vecchia proposta» del Fmi superata dalla riforma della Pa già approvata.
Riforma che sta suscitando sempre più dubbi. Ad esempio sulla dirigenza degli enti locali il decreto prevede un regalo governatori e sindaci e a quel che resta delle province: uno spoil system in stile Usa. Potranno scegliersi i dirigenti delle amministrazioni durante il loro mandato. Una manna per chi è sempre a caccia di consensi (e quindi di poltrone da distribuire) e di esecutori fedeli.
Ieri sera il testo definitivo ancora non c'era. La bollinatura è arrivata in tarda serata e gli uffici di Palazzo Chigi erano impegnati a fare le ultime limature al testo da consegnare al Quirinale. «Venerdì sera Renzi ha presentato in pompa magna la cosiddetta riforma della Pa. Siamo a martedì e di testi neanche l'ombra. Normale?» ha protestato Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati, che domani terrà una contro-conferenza stampa per smontare, punto per punto, i provvedimenti del ministro Marianna Madia.
Il decreto - quindi il provvedimento che entrerà in vigore sicuramente - prevedere «che la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, possa avvenire mediante contratto a tempo determinato». Possibilità che esiste già oggi, a patto che i dirigenti a termine non siano più del 5% del totale. Il governo alza il limite al 30% «dei posti istituiti nella dotazione organica della medesima qualifica». Saranno selezionati da una commissione composta da «esperti di provata competenza nelle materie di selezione, scelti tra dirigenti dell'amministrazione, docenti e altri professionisti esterni», a patto che non siano politici o sindacalisti. Il limite per le Regioni e delle aziende del Servizio sanitario nazionale è fissato al 10%.
Chiaro l'obiettivo: allargare i vincoli sempre più stretti che i precedenti governi hanno messo alle autonomie locali su assunzioni e consulenze. Poi dare la possibilità ai politici locali di scegliersi i dirigenti. Sistema anglosassone che, nella versione italiana, rischia di diventare l'occasione per infornate senza controllo di dirigenti.
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