Bel risultato maltrattare le partite Iva

Ciò che strozza le piccole partite Iva sono la crisi che perdura e la politica tributaria e del lavoro classista, iniziata con il governo Monti e inasprita da Letta e Saccomanni

Bel risultato maltrattare le partite Iva

Lo sciopero dei Forconi con partita Iva e senza sindacato è un inedito. Già lo sciopero delle partite Iva in un paese in cui la cultura comunista non abbia dominato come in Italia è un non senso, perché compete al lavoro dipendente. Ma è stato il Pci pan sindacalista a inglobare queste proteste come scioperi. Il fastidio delle organizzazioni ufficiali delle piccole imprese e degli artigiani per i blocchi dei Forconi è più che comprensibile. Però è una prassi non solo dei No Tav in Valle Susa, ma anche dalla Cgil-Fiom quando ai cancelli Fiat vengono fermati i «crumiri» che vogliono lavorare per i contratti Marchionne. Occorre interrogarsi sulle cause del fenomeno. La risposta è che gli autonomi e i piccoli imprenditori sono particolarmente maltrattati dalla attuale impostazione di politica economica e fiscale. Ciò che accade fra piccole imprese del trasporto e del commercio e dei pubblici esercizi, che vorrebbero poter lavorare un po' almeno nelle feste di Natale, e i forconi che le bloccano, è come il litigio fra i polli di Renzo, che andavano tutti a farsi strozzare.

Ciò che strozza le piccole partite Iva sono la crisi che perdura, perché la ripresa timida e parziale e non tocca se non di striscio la domanda interna di consumo manca nell'edilizia e la politica tributaria e del lavoro classista, iniziata con il governo Monti e inasprita da Letta e Saccomanni, che raccontano di una ripresa che non c'è. Ignorano questi disagi, come ignorano la carenza di credito che danneggia soprattutto i minori. La più evidente discriminazione fiscale e del lavoro a danno dei piccoli operatori riguarda l'Irap. Il decreto Monti «Salva Italia» ha stabilito dal 2012 la deducibilità dal reddito d'impresa o di lavoro autonomo della quota Irap sul costo del lavoro dipendente e assimilato. Un decreto del 2012 ha introdotto la deducibilità retroattiva di 48 mesi e l'Agenzia delle Entrate ha stabilito il rimborso di Irpef e Ires indebitamente pagate per il personale dipendente e assimilato per il 2007-2011.

Ma il costo del lavoro autonomo tassato in Irap non è detraibile. Una palese discriminazione tributaria, che colpisce le imprese di trasporto, del commercio, dei servizi, che si avvalgono del lavoro del titolare e dei suoi familiari, in confronto a quelle che si avvalgono di lavoro dipendente o assimilato. La discriminazione non ci sarebbe se si accogliesse la tesi, fatta propria dal Pdl, per cui l'Irap va divisa in due: imposta sui redditi di impresa e lavoro autonomo strutturato tassati in Irpef o Ires e un contributo sanitario regionale sui costi del lavoro, dipendente o autonomo che sia. Ma Monti la ha ignorata e Letta idem, perché il lavoro autonomo per loro non è vero lavoro. Sino al 2011 alla discriminazione si sarebbe potuto rimediare, facendo lavorare i familiari come autonomi con partita Iva nella propria ditta, in attesa che riescano a lavorare anche per altre eventualmente part time in determinati giorni ed orari. Ma il governo Monti, con una folle riforma del mercato del lavoro basato sulla mutilazione degli elementi di flessibilità introdotti con la legge Biagi, ha stabilito che non possono più esserci lavoratori autonomi con partita Iva che operano per una sola impresa. Ha anche limitato l'uso dei contratti a termine.

Ma il più grosso problema riguarda la crisi edilizia, generata e aggravata dalla tassazione degli immobili con una mini patrimoniale, che ora Renzi dice di voler reintrodurre sulla prima casa. Rispondere a queste agitazioni, trattandole come mere questioni di ordine pubblico è un grosso errore.

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