Una truffa nel cuore dello Stato e uno schiaffo alle istituzioni. La procura di Bologna manda un invito a comparire alla storica segretaria di Pier Luigi Bersani e porta a galla una storia imbarazzante. Zoia Veronesi veniva stipendiata a Bologna, dalla Regione Emilia Romagna, ma in realtà lavorava alla corte dell'ex ministro, oggi segretario del Pd. La vicenda, naturalmente, è tutta da dimostrare e un provvedimento della magistratura non può essere scambiato per una condanna, ma l'indagine del pm Giuseppe Di Giorgio fa un passo in avanti. E mette in difficoltà il numero uno del Pd, alle prese con le primarie e impegnato in una competizione spalla a spalla con Matteo Renzi. Ora su Bersani piomba questa vicenda non proprio edificante. Per la procura Zoia Veronesi avrebbe svolto fra il 2008 e il 2010, per un anno e mezzo circa, un lavoro che esisteva solo sulla carta: quello di raccordo fra la Regione Emilia Romagna e lo Stato centrale e le istituzioni. Un ruolo cucito su misura, secondo l'accusa, per permetterle di seguire ancora Bersani, dopo la fine del governo Prodi e dell'esperienza come ministro.
In realtà già un paio d'anni fa, quando Enzo Raisi, deputato allora del Pdl e oggi di Fli, aveva presentato un esposto sul tema, lei aveva risposto per le rime: «Sono una dipendente regionale con orario di lavoro di 36 ore. Nel tempo libero e nei weekend faccio quello che mi pare gratuitamente». Evidentemente la spiegazione non ha convinto gli investigatori che avrebbero cercato invano tracce dell'impegno della signora Veronesi come punto di contatto fra il potere bolognese e quello romano. Insomma, il sospetto è che la mano pubblica abbia sovvenzionato dietro tanti giri di parole la segretaria del segretario. Ricorrendo ad artifici per giustificare quel che giustificabile non era.
Bersani, che al momento è totalmente estraneo, commenta gelido: «Visto che c'è un esposto, ancorché di Raisi, è giusto che la magistratura accerti. Sono comunque sicuro che le cose siano state fatte bene». Altrettanto secca la replica di Raisi: «Sono garantista, ma il fatto che un esposto abbia prodotto addirittura l'arresto di un sottufficiale della Guardia di finanza e un altro un avviso di garanzia mi conforta nel pensare che non erano esposti strumentali come qualcuno disse allora». La due denunce cui fa riferimento Raisi non avevano nulla in comune, ma entrambe hanno fatto strada e ora la seconda provoca malumore nell'entourage del segretario. «Ogni volta che ci sono le primarie - dicono dallo staff di Bersani - esce questa storia della segretaria». Zoia Veronesi, l'ombra del capo da almeno vent'anni. Alla Regione Emilia Romagna, di cui Bersani è stato presidente, al dicastero dello sviluppo, fra il 2006 e il 2008, infine alla guida del partito. Nulla di strano, a sentire l'interessata: «L'ho seguito quando è stato ministro chiedendo l'aspettativa alla Regione». E poi anche dopo, ma senza nulla togliere all'impegno di funzionaria. «Zoia Veronesi - insiste l'avvocato Paolo Trombetti - dava una mano al segretario Bersani, ma solo nel tempo libero». A tempo pieno dopo la vittoria di Bersani alle primarie e le dimissioni dalla Regione, annunciate a gennaio 2010 e formalizzate due mesi dopo. Curiosamente quell'incarico così altisonante da sembrare una perifrasi è stato soppresso dopo l'addio della signora Veronesi. Sarà una coincidenza, non c'è dubbio, ma intanto la magistratura fa le sue verifiche.
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