Dalla Bolognina a Prodi Il Pd ha ucciso la sua storia e i propri simboli

Dal dissenso dello storico circolo della Bolognina a Prodi e Marini, passando per la perdita del voto degli operai, delle roccaforti rosse e di luoghi simbolo come piazza San Giovanni

Il segretario uscente del Pd, Pier Luigi Bersani
Il segretario uscente del Pd, Pier Luigi Bersani

Tutto in un anno. Il Pd ha ucciso la sua storia nel giro di 365 giorni. Almeno quella simbolica. Gli emblemi "gloriosi" dei democratici sono crollati come un castello di sabbia sotto il fuoco amico di una dirigenza che non ha saputo offrire un progetto politico per rispondere alla domanda del paese e che è stata spazzata dal vento dell'antipolitica e dal movimento di Beppe Grillo.

Adesso il Pd cerca se stesso e fa fatica. Perché i simboli del partito sono di fatto stati rimossi con sistematica cura. Oggi anche il simbolo della più antica anima della sinistra ha voltato la spalle al Pd. Il segretario dello storico circolo Pd della Bolognina, Raffaele Badursi, si è dimesso in disaccordo con la linea politica delle ultime settimane.

Al comitato direttivo del circolo di Bologna non è piaciuta affatto “la strategia che ha guidato il Pd nella scelta del Presidente della Repubblica” e ora si chiede “che venga al più presto avviata la fase congressuale, al fine di costruire un partito capace di adottare medesime regole, modalità organizzative e stili di condotta in tutto il paese”.

La Bolognina che si commosse e si appassionò quel lontano 12 novembre 1989 quando il Partito comunista diventò Pds, ora non riconosce più la sua creatura. Proprio questo circolo nei giorni scorsi aveva ospitato "Reset Pd", un’iniziativa di rinnovamento promossa da alcuni assessori della giunta Merola alla quale aveva partecipato anche Paolo Prodi, figlio dell’ex premier.

E proprio Romano Prodi, oggi all'università di Parma, ha fatto un'esternazione laconica ma degna di nota: “Io non esisto. È un fatto che per questa Repubblica io non esisto”. Ed è anche un fatto che il Pd, dopo aver azzoppato la sua corsa al Quirinale, abbia anche bruciato la sua storia e con essa quella di uno dei padri nobili del Pd. Stessa cosa si può dire per Franco Marini.

Ma oltre alle personalità del passato, il Pd ha fatto piazza pulita anche di roccaforti rosse. Nell'ultimo anno, tra elezioni politiche e amministrative, ha perso consensi nei baluardi storici. Si pensi a Torino o alla Provincia di Genova dove il M5S ha letteralmente sorpassato i voti del Pd, che ha perso più di 10 punti rispetto alle politiche del 2008. O ancora alle Marche, dove il M5S è diventato il primo partito. Dicevamo dei simboli e delle tradizioni.

E che dire della perdita del voto degli operai? Nelle ultime politiche Grillo è risultato il primo partito tra tute blu, disoccupati e lavoratori autonomi. E della storica roccaforte rossa di Mira diventata di colpo di colore giallo grillino? E di Bettola, paese natale di Bersani, dove il Pdl ha vinto surclassando il Pd? E ancora, Siena, azzoppata dallo scandalo Mps e dove il consenso degli elettori democratici adesso è a rischio? Piccoli simboli che però messi assieme diventano un calderone di storia bruciata.

O regalata agli altri per non curanza o disattenzione.

Come è successo per la storica piazza della sinistra, quella romana di San Giovanni, “rubata” da Grillo per il comizio conclusivo della campagna elettorale. Il Pd non è arrivato in tempo. O forse non ha colto il segno del tempo.

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