La campagna elettorale degli alleati fantasma

Di foto di gruppo tra alleati se ne sono visti poche. Bersani e Vendola si tengono a distanza. Monti ignora Fini e Casini. Fratelli d'Italia fa la corsa sugli scontenti Pdl

Pier Ferdinando Casini e Mario Monti a Montecitorio
Pier Ferdinando Casini e Mario Monti a Montecitorio

Marciare divisi sperando di trovare l'unità dopo il voto. Ci si avvia ormai alle ultime battute della campagna elettorale e la raffigurazione pubblica delle coalizioni che dovranno fronteggiarsi in Parlamento resta sostanzialmente assente. I leader dei vari partiti si muovono in proprio, gelosi della propria identità, cercando di strappare il maggior numero possibile di consensi per il proprio simbolo. E così eventi pubblici, ritratti di famiglia e foto di gruppo restano ben nascoste nel cassetto.
Naturalmente ci sono le attestazioni di reciproca stima (intervallate da periodiche stoccate, necessarie a marcare il territorio), le risposte velenose alle punzecchiature che a turno i vari leader delle coalizioni si rivolgono a vicenda su questo tema, le rassicurazioni sulla tenuta della futura squadra. Ma di fatto Pierluigi Bersani e Nichi Vendola si tengono a debita distanza, pur promettendosi che «soltanto la nostra coalizione durerà, le altre si frantumeranno» e che «questa volta non finirà come con l'Unione». Ugualmente alleati e distanti sono Mario Monti, Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini con il primo che sostanzialmente ignora i suoi alleati-politici di lungo corso. D'altra parte nella coalizione di centro a quattro giorni dal voto il nervosismo si taglia a fette, soprattutto da quando è apparso evidente attraverso i sondaggi che il Professore non regala un valore aggiunto a Udc e Fli ma sottrae loro consensi. E lo fa senza neppure concedere loro una comparsata pubblica, un abbraccio a favore di telecamere, un attestato di stima pronunciato sotto lo stesso tetto. Un gelo sempre più evidente che Fini prova a sciogliere a colpi di dichiarazioni. «Se vogliono l'istantanea della nostra coalizione gliela manderemo: ci vuole, appunto, un istante a scattarla. Ma lo faremo dopo aver sentito in un comizio congiunto da una parte Bersani e Vendola e dall'altra Berlusconi e Maroni esprimere un giudizio coincidente sul governo Monti». Un antipasto di quello che accadrà dopo il voto quando il gruppo unico montiano dovrà iniziare a riflettere al proprio interno sulla collocazione in sede europea e dovrà cercare di ridurre all'unità sensibilità politiche diversissime tra cattolici ortodossi e laicisti incalliti. E anche nel centrodestra non è che le occasioni per mostrarsi insieme siano state molte. Dopo schermaglie e punzecchiature reiterate nel periodo natalizio, Silvio Berlusconi e la Lega hanno trovato un «modus cooperandi». Anzi due giorni fa si sono anche finalmente scattati la famosa foto comune, con un pubblico abbraccio a Fieramilanocity, in un incontro elettorale del Pdl. «Oooh, eccolo qui», l'accoglienza di Berlusconi sul palco. E Maroni di rimando: «E' il mio presidente preferito, e non solo del Milan».

Più complesso il rapporto con Fratelli d'Italia, a caccia dei delusi del Pdl e pressochè costretto a cavalcare la protesta e la critica sui criteri di selezione dei candidati dei parenti-serpenti di Via dell'Umiltà. Alla Fiera, però, non è passata inosservata la presenza di Giorgia Meloni. Un primo passo, forse, verso un palco condiviso.

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