MilanoLa marcia dei centocinquanta. La marcia silenziosa e composta di centocinquanta parlamentari che rappresentano dieci milioni di elettori. Che attraversano il centro di Milano per raggiungere Palazzo di Giustizia e dire no agli arbitrii di una certa magistratura. E mettere in guardia la gente d'Italia dalla pericolosa deriva che possono prendere, e far prendere, certe persecuzioni giudiziarie.
Ma anche la marcia dell'affetto e della solidarietà verso il loro leader, Silvio Berlusconi, che gli eletti del Popolo della Libertà hanno voluto organizzare, con il cuore e con la testa, ieri per stargli vicino mentre, all'ospedale San Raffaele, il Cavaliere incassava l'ennesimo sfregio: una nuova visita fiscale, disposta dai magistrati del processo Ruby, per accertare le sue reali condizioni di salute e quindi la veridicità del suo «legittimo impedimento» a partecipare alle udienze in tribunale.
Cronaca di una giornata ad alta intensità emotiva. Una giornata di slanci e di passione politica, apertasi con un rassemblement dei parlamentari pidiellini nel Palazzo della Camera di Commercio in corso Venezia, dove si sarebbe dovuto discutere del voto alle recenti elezioni, della nomina dei capigruppo alla Camera e al Senato e delle commissioni parlamentari.
Sono le 11 quando gli avvocati Niccolò Ghedini e Piero Longo lasciano infatti Palazzo di Giustizia, dove è in corso il processo Ruby, per prendere parte alla riunione dei parlamentari. L'indignazione per i fatti che stanno accadendo e sono accaduti è tale e tanta che il segretario Angelino Alfano decide, nel suo intervento alla riunione dei parlamentari, di smontare, pezzo per pezzo, i vari capi di imputazione contro Berlusconi. Partendo dal caso del senatore Sergio De Gregorio che, secondo i pm partenopei, avrebbe ricevuto 3 milioni di euro per lasciare l'Italia dei Valori e passare al Pdl causando, in questo modo, la caduta del governo. «Prodi non è caduto per De Gregorio ma a seguito dell'arresto della moglie di Mastella» ha precisato Alfano.
Che analizzando la condanna a quattro anni nel processo Mediaset ha aggiunto: «Colui che paga centinaia di milioni di euro in tasse, avrebbe evaso per tre milioni di euro che, nel mondo berlusconiano, rappresentano ben poca cosa».
Paradossale per Alfano anche la questione che ha portato a una condanna a un anno senza condizionale per concorso in violazione del segreto istruttorio nel processo Unipol: «Proprio a Berlusconi che è stato ed è la più grande vittima di fughe di notizie e di rivelazioni di fatti personali». A fronte di tutte queste ragioni e della surreale situazione venutasi a creare, la riunione in corso Venezia viene sospesa alle 13,30. I parlamentari, nonostante la contrarietà a qualsiasi forma di protesta, espressa anche ieri da Berlusconi, si mettono in marcia tra la sorpresa della gente per raggiungere il Palazzo di Giustizia.
Una volta arrivati, deputati e senatori azzurri si dispongono sulla scalinata dell'ingresso principale. E così, senza chiassate, mettono in atto la loro protesta per contestare l'atteggiamento persecutorio della procura milanese nei confronti del Cavaliere, regalando ai fotografi e ai cameramen un'immagine unica. Una solidarietà corale a Silvio Berlusconi che comincia intonando l'Inno di Mameli. Nel gruppo degli esponenti del Pdl che fanno partire il coro, gli ex ministri Raffaele Fitto, Stefania Prestigiacomo, Mariastella Gelmini, l'ex sottosegretario Daniela Santanchè e l'ex ministro Michela Vittoria Brambilla.
Sono da poco passate le 14 quando Alfano raggiunge nuovamente il gruppo dei colleghi e spiega le motivazioni della simbolica quanto unica protesta: «Non avremmo voluto venire qui, in tribunale, ma l'aggravarsi della situazione ci ha imposto questa scelta», spiega Alfano rimettendo la situazione nelle mani di Napolitano e invocando un suo intervento immediato: «Noi abbiamo un interlocutore di cui ci fidiamo, è il presidente della Repubblica. A lui affidiamo la nostra preoccupazione per questa emergenza democratica». Quindici minuti dopo tutti i parlamentari entrano all'interno del tribunale per fermarsi davanti all'aula 7° penale bis dove si doveva svolgere l'udienza per il processo Ruby. Un breve incontro tra Alfano e Ghedini davanti alle porte fatte chiudere dalla Boccassini. Anzi, come lo definisce Alfano «un passaggio del testimone tra lui e Ghedini perché le istituzioni repubblicane e democratiche vengano difese» dopodiché i centocinquanta parlamentari decidono di lasciare il tribunale per raggiungere l'ospedale San Raffaele e portare il proprio saluto affettuoso a Berlusconi. Appoggio e affetto che, però gli vengono girati dai medici curanti, dal momento che, per non affaticare il Cavaliere, non viene permessa alcuna visita.
Poco dopo, alle 16,45 arriverà la notizia che i tre periti nominati d'urgenza dal tribunale confermano la veridicità dei problemi di salute che impediscono a Berlusconi di andare in tribunale.
È la conclusione di una giornata che non ha precedenti e che avrà un seguito oggi a Roma, quando Alfano salirà al Colle assieme ai capigruppo uscenti del Senato, Maurizio Gasparri, e della Camera, Fabrizio Cicchitto, per convincere il capo dello Stato ad intervenire per evitare che Berlusconi «venga fatto fuori per via giudiziaria».
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