La rivelazione di Piantedosi sul caso Ramy: "Ecco chi alimenta gli scontri"

Il ministro dell'Interno rivela la presenza di "collegamenti esterni" ai cortei violenti degli ultimi giorni. E lancia l'allarme: "C'è una premeditazione"

Matteo Piantedosi
Matteo Piantedosi
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Alla vigilia di un weekend che si prospetta di grande tensione, il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, rilancia un’intervista al Messaggero per chiarire alcuni punti fondamentali sul caso Ramy e, di conseguenza, sui cortei di violenza che stanno mettendo a ferro e fuoco le principali piazze italiane. Senza trascendere nell’inutile galassia complottista, il titolare del Viminale rilancia con chiarezza l’ipotesi di una regia esterna delle manifestazioni. Quella che, rivela, si potrebbe definire un “network” di collegamenti esterni ai cortei.

I cortei violenti

“Non parlerei di regia, non ci risulta una logica complottistica. Sicuramente però c'è un network, dei collegamenti, evidenziato dalla presenza in alcune manifestazioni di persone che arrivano da fuori”, rivela il ministro Piantedosi. A supporto di questa tesi, continua, ci sono le identificazioni degli ultimi giorni: “A piazzale Ostiense, a Roma, ad esempio c'erano dei soggetti venuti da fuori, arrivati solo per fare quello che si è visto”. Stando alle parole del ministro, saremmo in presenza di infiltrati esterni, più o meno spontanei, che hanno la sola funzione di alzare il tono dello scontro e gettare ulteriore benzina sul fuoco.

“Molti di questi gruppi hanno la denominazione comune di ‘Antagonismo’, aggiunge Piantedosi in quello che definisce un vero e proprio “modo di stare al mondo, contrapporsi ad ogni costo”. “Temi ambientali, tav, Medio Oriente, Ddl Sicurezza, alternanza scuola-lavoro. I temi vengono usati come pretesto per una postura antagonista”, sottolinea. A far preoccupare il ministero dell’Interno, però, è il generale “innalzamento del livello di tecnica di aggressione” nei confronti delle forze dell’ordine. Dalle bombe carta a una “vera forma di guerriglia”. In una parola, secondo il ministro siamo di fronte a un fenomeno premeditato: “Se fossimo in ambito giudiziario si parlerebbe di premeditazione.

Il caso Ramy

Una situazione che, inevitabilmente, si collega al caso di Ramy Elgaml, il giovane ragazzo morto a bordo di uno scooter mentre scappava dai carabinieri. “Per quanto riguarda l’episodio specifico va detto che c’è anche un profilo di obbligatorietà nell'inseguimento a persone sospette a cui è stato intimato l'alt”, precisa Piantedosi. Seppur addolorato dalla tragica conclusione della vicenda, il ministro non può fare altro che constatare la dinamica: “Di sicuro i comportamenti dei carabinieri nell’inseguimento – la velocità, le strade contromano – sono stati indotti dai fuggitivi”. Questo, ovviamente, non esclude un incontro tra l’esponente dell’esecutivo e la famiglia di Ramy. “Finora non l'ho fatto per rispettare il loro dolore. Ma non escludo di farlo, magari a riflettori spenti. Sempre che i genitori lo vogliano”, conclude il ministro.

Il futuro al Viminale

Su tutt’altro tema, Piantedosi non esime dal rispondere alle questioni che stanno alimentando l’odierno dibattito pubblico. A partire dal dossier “scudo penale” per la Polizia fino al suo ruolo al Viminale. Sul primo caso, a dispetto di quanto sostiene gran parte della sinistra, il ministro spiega che non si è “mai parlato di impuntià” ma solamente di tutele maggiori per gli agenti in divisa.

Sul secondo versante, più politico che tecnico, Piantedosi mette la parola fine al chiacchiericcio: rimarrà al Viminale “finche non mi cacciano”. Nessuna candidatura a governatore della Campania e, allo stesso tempo, nessuno screzio con il leader del Carroccio Matteo Salvini. La sinistra mediatica dovrà farsene una ragione.

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