La Cassazione indica la Luna, l’opposizione guarda il dito. A leggere bene la sentenza con cui la Cassazione stabilisce il diritto dei giudici a valutare se rimpatriare il singolo richiedente asilo senza titolo per restare in Italia, si legge chiaramente che «i provvedimenti dei giudici non possono produrre effetti erga omnes, ma limitatamente ai singoli casi che si trovano ad affrontare». Quindi, i magistrati non possono sostituirsi alle decisioni del ministero degli Esteri e alla lista dei «Paesi sicuri» decisa dal governo con legge primaria e contenuta nel decreto Flussi, ma devono fare una verifica, un’istruttoria adeguata, caso per caso.
Non più e non solo con un criterio meramente territoriale, come è avvenuto nei mesi scorsi con le sentenze fotocopia del tribunale di Roma, sezione Immigrazione, presieduto dalla leader di Md Silvia Albano, secondo cui Egitto e Bangladesh non sarebbero del tutto «Paesi sicuri» perché una parte del territorio sarebbe compromessa. Fa bene il capogruppo di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami a circoscrivere la portata della sentenza e a sottolineare come il provvedimento «esaurisce il potere del giudice all’adozione di provvedimenti disapplicativi limitatamente al caso a lui sottoposto», stigmatizzando come sia uno dei principi di diritto da primo anno di Giurisprudenza: «Sorprende che sia dovuta intervenire la Corte di Cassazione a ribadirlo a giudici che evidentemente avevano finalità politiche».
Se finora è stato possibile opporsi alla lista decisa dal governo invocando fantomatiche distorsioni del diritto comunitario, la sentenza stabilisce invece che il Paese deve essere considerato «sicuro» non in astratto (come già successo in precedenti decisioni) ma caso per caso. E quando la lista dei «Paesi sicuri» avrà il timbro Ue - la commissione Ue vorrebbe anticiparne l’entrata in vigore nel giugno prossimo anziché nel 2026 - la magistratura più politicizzata e ideologica non avrà più appigli. Presto sul tema dei «Paesi sicuri» dovrebbe pronunciarsi la Corte di Giustizia Ue, giustamente chiamata in causa dopo una sua pronuncia del 4 ottobre scorso che sul concetto di «Paese sicuro» ha lasciato qualche dubbio interpretativo.
I giudici del Lussemburgo dovrebbero pronunciarsi tra febbraio e aprile e potrebbero dar ragione all’Italia, nel senso che l’idea che un Paese non sia sicuro perché non lo è una sua parte (vedi i terroristi di Boko Haram in Nigeria, ad esempio) non implica necessariamente la compressione dei diritti del singolo richiedente asilo nigeriano.
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