So che è ingenuo mettere a confronto due mondi che dovrebbero essere - purtroppo qualche volta non lo sono - lontani se non antitetici. Il mondo, intendo, della fede religiosa e il mondo della politica. Ma gli avvenimenti di questi giorni li accostano, perché assistiamo alla contemporanea uscita di scena di Benedetto XVI e d'un buon numero di notabili del Palazzo romano, dallo tsunami grillino ridotti allo status di specie in estinzione.
Tante cose separano, comunque le si guardino, le due situazioni, a cominciare da una, la più importante. Il Papa lascia perché ha ritenuto e ritiene di non essere più in grado di svolgere pienamente i suoi compiti. Sono tra coloro che hanno approvato come ammirevole questa confessione d'impotenza e questa scelta, anche se criticata da chi avrebbe voluto Joseph Ratzinger aggrappato anche in extremis, come accadde con Wojtyla, al suo trono e al suo anello. Il pastore tedesco - personalmente non vedo ironia in questa qualifica - se ne va dunque quietamente, di sua volontà, in umile bellezza. Già qui salta agli occhi la diversità da chi, anche se molto più di Benedetto XVI inadeguato alla carica occupata, strenuamente ha lottato durante anni per non farsela sfilare, in un turbine di polemiche. Ha trasformato la poltrona in trincea, e c'è voluta un'elezione sotto certi aspetti rivoluzionaria perché togliesse l'incomodo.
Il primo e ovvio riferimento di quanto scrivo è Gianfranco Fini; leader senza seguaci, capopopolo senza popolo, a lungo terzo personaggio dello Stato nelle procedure ufficiali ma personaggio inesistente - per non dire disistimato - nell'opinione degli italiani. Tranne lo 0,5 per cento di consensi, o poco meno, accreditatogli dalle urne. A un altro che imprecando al destino cinico e baro se ne va, Antonio di Pietro, non sono stati concessi i fasti protocollari goduti da Fini, ma Tangentopoli gli ha elargito una popolarità inversamente proporzionale alla sua sintassi. Ho personale simpatia per due veterani della politica e della vita come Marco Pannella e Emma Bonino. Ho ammirato alcune battaglie in cui si sono impegnati. Ma la saggezza avrebbe suggerito che si ritagliassero un ruolo di consiglieri, e non volessero entrare ancora nell'arena sventolando le onorate ma logore bandiere radicali. La voglia d'esserci anche quando sarebbe stato opportuno rimanere fuori - il che vale anzitutto per Mario Monti - ha contagiato tutti gli schieramenti. Vedi nel centrodestra Guido Crosetto, Maurizio Paniz, Margherita Boniver, Gianfranco Miccichè. Si tratta però di comprimari, non di protagonisti.
Non è il caso di spargere lacrime per la triste sorte dei trombati. Le liquidazioni e le pensioni parlamentari sono di tutto rispetto. E fanno sfigurare quella di Joseph Ratzinger, che come vescovo emerito di Roma riceverà un vitalizio di 2.500 euro, aumentabile a 5.000 se il suo successore gli conferirà il «piatto cardinalizio». Roba da far sorridere di compatimento non solo Gianfranco Fini, con la sua pensione da 6.200 euro, e poi gli europarlamentari, deputati, senatori della Repubblica ma anche un qualsiasi consigliere regionale.
Cosa faranno, da grandi, i politici che dalla politica sono stati espulsi. I più onesti rifletteranno. Quelli più ammanigliati e meno compromessi tenteranno di farsi inserire, come presidenti o consiglieri, nella sterminata e variegata mangiatoia delle sinecure pubbliche. I trombati o dismessi stranieri di gran nome - ad esempio l'inglese Tony Blair e il tedesco Gerard Schroeder - hanno fatto molto denaro con consulenze internazionali e conferenze. Una prospettiva che potrebbe allettare anche i nostri.
Ma, detto con franchezza, mi riesce difficile immaginare la presenza d'un folto pubblico plaudente per ascoltare i disoccupati della Nomenklatura italiana. Oltretutto Fini, che mai ha lavorato, non vorrà cominciare adesso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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