Chiara e Yara condannate a una morte senza verità

A Garlasco sesto anniversario senza colpevoli, a Brembate non ci sono più indagati. Due storie parallele dove alla sbarra finisce soltanto chi non trova gli assassini

Chiara e Yara condannate a una morte senza verità

Abbiamo due giovanissime martiri che ancora vagano come fantasmi inquieti nella non giustizia di questo Paese. Sono due ragazze italiane morte troppo presto, nel modo più feroce, senza che si possano almeno punire i loro dannatissimi boia.
Il 13 agosto è la data di Chiara, del tetro delitto di Garlasco, con il tumultuoso seguito di due processi e due assoluzioni per il fidanzato, ma più ancora con il colpo finale della Cassazione che manda tutto all'aria e ordina di ripartire da capo. Sei anni dopo, come se fosse il giorno dopo. Tanta confusione, tanta rabbia e tanti veleni, senza che nessuno sia in grado di rivolgere una sola parola di certezza ai genitori della ragazza. Eppure, dopo sei anni di tormento personale e di fallimenti giudiziari, niente ancora piega la resistenza della madre Rita: è proprio lei, che avrebbe mille motivi per lanciare qualche giusto anatema, a parlare positivo. «La Cassazione mi ha ripagato della fiducia che ho avuto in questi anni nella giustizia. É una fiducia che ho ancora». A tutti noi disillusi suona come una frase fatta, ma se davvero le serve per trovare ancora un senso in questo insostenibile enigma, siano benvenute anche le frasi fatte.
Sarà poi una banale coincidenza, ma proprio in queste stesse ore arriva da Bergamo la notizia che riabilita totalmente, se ne fossimo capaci con tante scuse, il marocchino Fikri, primo e unico indagato vero dell'altro cupo rompicapo nostro, quello di Yara, sempre in Lombardia, sempre in estrema provincia.
Sì, sono giornate molto particolari. I femminicidi si susseguono imperterriti, senza che le nuove leggi riescano a incidere, anche solo come deterrente. E mentre altre donne si aggiungono alla macabra lista delle martiri italiane, le due giovanissime vittime dei grandi gialli nazionali continuano a vagare nel mistero. Chiara aspetta da sei anni esatti, Yara da quasi tre. L'imputato per Chiara, il fidanzato, sembrava non c'entrare nulla e invece torna al centro delle indagini. Il sospettato per Yara sembrava c'entrare qualcosa e invece esce per sempre dalla scena.
Inevitabilmente, per la nostra coscienza civica, non sono soltanto giornate di anniversari e di coincidenze. Sono giornate che fanno pensare. Mentre rosoliamo sulle spiagge, mentre camminiamo sui percorsi di montagna, mentre traffichiamo sui climatizzatori negli uffici, queste giornate fanno pensare prima di tutto che i genitori delle due giovani martiri vivono un incubo inimmaginabile, senza intravedere ancora la possibilità di mettere un punto, di avere almeno un volto contro cui scagliare rabbia, perché, odio, magari prima di arrivare a un finale perdono. Tutti noi, in platea, ci siamo ritrovati più volte a cincischiare con i plastici e con le nostre velleità da piccoli Sherlock Holmes, come in un appassionante gioco di società, tra interviste agli esperti, ricostruzioni thriller, totosentenze e verdetti spannometrici: ma loro, i genitori di Chiara e di Yara, in tutto questo tempo hanno sofferto, pregato, pianto, immersi in un'angoscia senza limiti e senza scadenze, perché tutt'ora davanti al loro bisogno estremo di verità hanno solo ma, se, però...
Sono giornate che fanno pensare anche ai sospettati, perché no. Se ancora abbiamo un residuo di elementare sensibilità, non è difficile immaginare che cosa abbiano passato in questi anni il fidanzato Alberto e il marocchino Fikri. L'idea che siano innocenti, l'unica ad oggi legittima, rende la loro esistenza un pessimo esempio di quanto devastante possa essere una giustizia lenta, abborracciata, e narcisa fino al punto di passare sopra la sofferenza delle persone per non riconoscere la propria fragilità. Chi siamo noi, grida Tolstoj nel suo bellissimo «Resurrezione», per infliggere tanto dolore in nome della giustizia umana?
In un modo o nell'altro, sono giornate che fanno pensare anche a quanti soldi lo Stato abbia speso in queste interminabili inchieste senza colpevole. Sono talmente tanti, sono talmente fuori controllo, che nessuno potrebbe certificare la cifra esatta. Basti andare alle migliaia e migliaia di esami Dna nel caso Yara, basti andare ai due processoni in nome di Chiara, basti andare ai costi per periti, agenti, giudici e cancellieri. Sicuramente la ricerca della verità è per sua natura ardua, incerta, indefinita. Non ha una data di scadenza scritta sopra. Ma è innegabile che in queste nostre storie italiane la sensazione sia un'altra: e cioè che ad un certo punto il corpaccione pachidermico della legge proceda per inerzia, senza un disegno preciso, in un perverso e ossessivo gioco fine a stesso.
Sono giornate che fanno pensare. Purtroppo, fanno pensare soprattutto che siamo ancora lontanissimi da una fine. Dalla verità. Dalla giustizia.

Due famiglie passeranno un altro Ferragosto mutilato, vuoto, senza senso, dopo Natale, dopo Capodanno, dopo Pasqua, dopo tutti questi mesi ad aspettare una soluzione: qualcosa di vero e di reale che non serva a far esultare un piemme o un avvocato, ma a placare almeno un poco della loro angoscia infinita.

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