Mentre in Ucraina il conflitto va avanti e non si intravvede ancora una via d'uscita c'è un altro fenomeno preoccupante che addirittura ci riguarda più da vicino: la penetrazione della Cina nella nostra economia. Le guerre nel terzo millennio si combattono in tanti modi ma la più perniciosa è quella economica che non viene dichiarata ma si risolve con il passaggio del controllo di pezzi importanti del nostro sistema produttivo ad altri soggetti esterni al nostro Paese. Finché si tratta di fondi internazionali e di compagnie internazionali c'è poco da dire: sono le leggi del mercato. Diverso il discorso quando ti trovi a che fare con il capitalismo di Stato, quello strano connubio che ha raggiunto la sua massima espressione nella Repubblica Popolare Cinese. Le logiche e gli interlocutori, quelli reali, in questo caso sono diversi e le azioni si trasformano in uno strumento di Potere al servizio della politica. Nelle società cinesi, specie con l'avvento di Xi, l'identificazione tra società, Stato e partito è totale. Qui il mercato c'entra poco, è un alibi, o peggio, il mercato e le sue leggi sono un meccanismo da usare per altri fini. La vicenda della Pirelli è esemplare. Piano piano Pechino sta assumendo il pieno controllo del gruppo. L'ingresso del capitale cinese anni addietro era stato regolato da un patto tra gli azionisti che assegnava ai soci italiani di minoranza (Camfin) il diritto di indicare il vertice operativo dell'azienda. Con un nuovo patto entrato in vigore il 19 maggio - e ora sospeso - gli italiani hanno perso un membro del cda in favore degli azionisti cinesi (Cnrc), e Marco Tronchetti Provera, già amministratore delegato, ha assunto il ruolo di vicepresidente esecutivo indicando Giorgio Bruno amministratore delegato secondo gli accordi originari. La novità è che allo scadere dell'attuale intesa i cinesi non riconosceranno più al socio di minoranza italiano il diritto di indicare l'amministratore delegato. In quest'ottica il disegno diventa più chiaro: alla scadenza dell'accordo il numero uno dell'azienda sarà deciso da Pechino e il gruppo potrebbe passare interamente in mano cinese. La questione non è di poco conto. Alcuni settori della Pirelli sono considerati di alta tecnologia e, quindi, strategici. Un dato che ha fatto accendere i riflettori delle autorità americane e europee che già in altre situazioni hanno bloccato l'espansionismo cinese nelle nostre economie: in un mondo in cui tornano ad essere eretti i muri ed è scoppiata una guerra nel bel centro dell'Europa sono valutazioni che saranno sempre più prevalenti rispetto anche alle logiche di mercato. È un problema che investe anche il futuro della Pirelli: un gruppo che sia sotto il controllo diretto non dell'imprenditore cinese, ma nei fatti, di Xi sarà visto sempre più con sospetto ed emarginato nel contesto occidentale. Tutte ragioni che rendono l'utilizzo della Golden Power da parte del governo italiano non solo consigliabile ma doveroso.
Oltre ad essere lo strumento normativo più efficace per mantenere in mani italiane una realtà considerata strategica e di interesse nazionale, sarebbe anche il modo più efficace per inviare un segnale a Pechino visto che l'assalto a pezzi della nostra economia è solo agli inizi. La Cina è vicina.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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