Sabato al Lingotto di Torino, intervenendo all'iniziativa «Stati generali del Nord» della Lega di Roberto Maroni, Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, ha chiesto di agire urgentemente sull'eccesso di pressione fiscale che sta ammazzando le imprese e, contemporaneamente, si è impegnato, per conto degli associati, a rinunciare agli incentivi oggi in corso.
È questa una proposta insieme sacrosanta e coraggiosa. Sacrosanta perché punta sulla questione centrale per guidare una nuova fase di crescita: ridare fiato agli investimenti produttivi partendo dal luogo dove questi si determinano, cioè l'impresa. E vuole perseguire questo obiettivo scegliendo la strada degli interventi automatici (il taglio delle tasse) senza concedere alcuno spazio alle discrezionalità politiche. Ed è insieme un indirizzo coraggioso perché incidendo su risorse già distribuite - e tra l'altro terreno di nuove promesse da parte di Corrado Passera - apre qualche contraddizione nella propria base. Certamente vi sono alcune questioni che devono essere precisate: per esempio gli investimenti per la Difesa comuni a tutti i maggiori Stati occidentali, così fondamentali per dare sostanza alla politica estera e insieme per garantire un filone di ricerca qualificata, vanno eliminati? E la cassa integrazione in deroga va anch'essa considerata incentivo eliminabile?
La scelta di trascurare gli investimenti sulla Difesa, colpendo così una grande azienda tecnologica come Finmeccanica già sottoposta a una doppia persecuzione sia mediatico-giudiziaria sia (vedi trattative tra la britannica Bae e la franco-spagnola-tedesca Eads) di emarginazione in Europa, sarebbe sbagliata.
Così il rinunciare alla cassa integrazione in deroga, che dal 2008 al 2009 ha favorito una pace sociale di fondo anche grazie a sindacalisti coraggiosi come Raffaele Bonanni della Cisl e Luigi Angeletti della Uil, impedirebbe di gestire con saggezza le crisi in atto e di salvare contemporaneamente la qualità del lavoro che nel sistema di piccole e medie imprese italiane è fondamentale.
Mentre gli schemi astratti di salario minimo garantito, che tanto piacciono a un ministro così poco concreto come Elsa Fornero, sarebbero non solo sono difficilmente finanziabili ma alimenterebbero anche attitudini a un perverso assistenzialismo verso cui c'è già una forte propensione nella nostra società.
Comunque, possibilmente con le opportune correzioni, la scelta di Squinzi conferma una presidenza capace di gesti coraggiosi: si consideri pure il giudizio sulla riforma del lavoro «una boiata pazzesca». Conta che dopo presidenti essenzialmente politici, come Luca Cordero di Montezemolo e Emma Marcegaglia, alla guida di viale Astronomia sia arrivato non solo un vero industriale ma anche leader di un'impresa di altissima qualità come la Mapei (d'altra parte anche il suo competitore Alberto Bombassei con la sua Brembo aveva queste qualità).
Da questa caratteristica di fondo nascono il coraggio e la capacità di assumersi le proprie responsabilità.
Virtù decisive che, certo, andranno temperate man mano dall'esperienza di guidare un movimento complesso che può svolgere un ruolo per il bene dell'Italia esclusivamente se è coraggioso, ma può raggiungere veramente i suoi obiettivi solo se ha anche il minimo d'astuzia necessaria all'impresa.
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