Il governo ci ha mandati in ferie tranquilli: l'Italia non è un Paese guarito, ma ci sono segnali incoraggianti. Letta ha persino bacchettato stampa e televisioni, che improvvisamente non parlano più dello spread: proprio adesso, che è bassino e freddino, grande vantaggio per tutti quanti noi.
Il gesto è molto umano: il Palazzo ci ha inviato una cartolina dall'Italia positiva, reattiva, agganciata alla ripresina. Forse questa Italia esiste davvero, l'Italia che tutti aspettiamo ormai da almeno dieci anni, l'Italia nuova e migliore rinata sulle sue stesse ceneri. Ma basta scendere di un livello, dalle statistiche e dagli indici, immergendoci di nuovo nel reale, per verificare che sopravvive in piena salute, senza la minima intenzione di schiattare, l'Italia solita, vecchia, unta, sfatta, proprio quella finita dentro al tunnel del declino, fino a un passo dalla rovina.
Le testimonianze più avvilenti arrivano da tutte le zone geografiche, da tutti i settori della vita civile, da tutte le storie singole. Basta saperle ascoltare. Qui ne abbiamo tre. C'è la tristezza dell'imprenditore che si arrende e fugge all'estero, non per nascondere capitali, ma per investire in luoghi più ospitali. C'è l'esasperazione della privata cittadina, che si chiede davanti alla storica serrata d'agosto del cosiddetto sistema-Paese se ancora sia il caso, se ancora ce la possiamo permettere. E c'è la multinazionale francese che a Gioia Tauro getta la spugna dopo quattro anni di gestione, abbandonando il termovalorizzatore alle pasticciate soluzioni locali, con il risultato di non bruciare più nemmeno un chilo di rifiuti. Percorsi diversi, legati da un filo rosso troppo resistente: il nostro cocktail letale di lentezza, arretratezza, pressapochismo, una metastasi estesa di cellule maligne che continuano a prevalere su quelle buone.
Francesco Biasion avrebbe ampliato la sua attività a Mussolente, nel Vicentino, ma le resistenze di una burocrazia invincibile l'hanno schiantato. La Bifrangi spa, che in Veneto ha 500 dipendenti, più di un migliaio nel mondo, non scapperà in Romania, o in Cina, o in chissà quale luogo estremo per spuntare vantaggi a basso costo: si sposterà di pochi chilometri, in Carinzia, nella civilissima Austria, dove le regole vengono rispettate, i lavoratori tutelati, ma dove aprire aziende è ancora molto considerato. «Non credo più al sistema Italia - dice Biasion a Linkiesta.it - non penso che si possa più fare impresa nel nostro Paese. Io sono un imprenditore onesto e vengo trattato come un delinquente. Faccio anche i nomi: sindacati, magistratura, comune, burocrazia locale».
È una storia nuova, ma sembra di averla già sentita milioni di volte: la burocrazia, questo moloch che non si lascia scalfire nemmeno dalla dinamite, lavora ai fianchi il nemico e alla fine lo mette in fuga. Così come è molto classico l'urlo di esasperazione della corrispondente Bbc, finita a sbattere per l'ennesima volta contro la chiusura prolungata di tutte le attività italiane, esclusi movide, happy hour e sballi notturni (per quelli siamo sempre aperti, orario continuato, festività comprese). Quanto al terzo cammeo, nemmeno il caso di dilungarci: basta il nome, Gioia Tauro, per intuire già quali e quanti trappoloni devono aver fiaccato la resistenza della multinazionale Veolia (tra gli altri, crediti con la Regione intorno ai 200 milioni), avviando il preziosissimo termovalorizzatore a un mesto destino di inutilità.
Burocrazia, lassismo, sciatteria, senza parlare dei soliti interessi strani: ci sta tutto, nel cocktail letale delle nostre storie vere. Anche questo è un Made in Italy molto noto e affermato.
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