Dopo i diamanti, gli 007: la Lega spiava la Lega. L’ex tesoriere del partito Francesco Belsito aveva sguinzagliato sulle tracce dell’ex ministro dell’Interno due investigatori privati e aveva raccolto un dossier nel tentavo di screditare Roberto Maroni. È davvero incredibile quel che emerge dallo scandalo senza fine scoperchiato dalla magistratura. Fra le carte di Belsito c’era anche una cartellina gonfia di visure camerali e annotazioni scritte a mano dagli 007 a libro paga. È il settimanale Panorama, oggi in edicola, a svelare la trama che porta a galla ancora una volta i veleni e i rancori che da mesi dilaniano la Lega, con il duello mortale fra il Cerchio magico e i Barbari sognanti. A Milano, in procura, vanno con i piedi di piombo: allo stato, fanno sapere negli ambienti del palazzo di giustizia, il dossier non risulta. Ma è Belsito in persona a confermarlo a Giacomo Amadori che firma lo scoop di Panorama: l’operazione scattò tre mesi fa, a gennaio, quando ormai l’impero dell’ex sottosegretario alla Semplificazione scricchiolava. Dunque, in quel contesto l’allora tesoriere del Carroccio assolda i detective, naturalmente a spese del partito, e quel che è peggio informa, anche se alla sua maniera contorta e velata, il capo supremo Umberto Bossi. «Gli dissi - spiega ancora a Panorama - che mi sentivo accerchiato e che stavo cercando di capire alcune cose su Maroni». Bossi, se è vera la ricostruzione, non avrebbe nemmeno provata o fermarlo: «In realtà non mi ha detto niente». Insomma, nella Lega ci si pugnalava a vicenda all’ombra della leadership appannata di Bossi.
«È incredibile - replica Maroni, sempre dalle colonne del settimanale, in un colloquio con il direttore Giorgio Mulè - dopo quel che ho sentito inizia una guerra termonucleare globale. Io voglio sapere e anzi pretendo di sapere se davvero qualcuno all’interno della Lega mi ha spiato e ha addirittura ordinato un dossier su di me, voglio e pretendo di sapere chi lo ha fatto». Non basta: «Sia chiaro - aggiunge l’ex ministro - non mi fermerò fino a quando eventuali colpevoli non saranno cacciati. Altrimenti me ne andrò via io». La grande resa dei conti va avanti e le ramazze avranno ancora molto lavoro. Del resto i giochi non sono affatto chiusi. I Barbari sognanti hanno ottenuto le teste di Francesco Belsito e Rosi Mauro, espulsi, e hanno costretto alle dimissioni l’assessore del Pirellone Monica Rizzi e Renzo Bossi. Ma gli equilibri dentro il partito non sono affatto consolidati. E la stessa Rizzi, prima di andarsene, ha sibilato: «Con Maroni la Lega durerà sei mesi».
Ora spunta questo dossier. «Io l’ho letto - precisa gelido Maroni - e non resterò nemmeno un minuto in più se non se ne andranno tutti colpevoli, a tutti i livelli. E pazienza se dovessi scoprire - aggiunge Maroni prefigurando uno showdown finale - di essere stato tradito da un presunto amico: non ci saranno sconti per nessuno». Nemmeno, par di capire, per Bossi.
Il dossier in realtà contiene notizie molto nebulose: i detective, pagati naturalmente con i soldi del partito - l’ultimo bonifico è di 2.100 euro - hanno messo insieme più chiacchiere e voci che notizie verificate. E non sono andati molto lontano. I due segugi - un investigatore privato e un maresciallo in congedo dei carabinieri con l’immancabile passaggio nei servizi - si sono concentrati soprattutto sul capitolo barche. Dunque hanno curiosato fra le proprietà di una società, la Quiet please srl, mettendo insieme con molta approssimazione alcune pseudoinformazioni. La Quiet avrebbe nel proprio portafoglio un catamarano da 320mila euro. Il titolare - a sentire gli spioni del Carroccio - sarebbe un compositore pugliese. «In realtà - spiega a Panorama uno dei detective chiamato V. - noi riteniamo che il natante sia riconducibile a Maroni». E sempre Maroni avrebbe un motoscafo a Portorose. E ancora, in una grande confusione di nomi e località, l’ex ministro sarebbe proprietario di una barca a motore, localizzata a Palermo e prima ancora nella solita Varazze. Gli 007 lumbard hanno effettuato le visure della Quiet e di altre società e sostengono che le barche potrebbero nascondere affari opachi.
Come si vede, siamo nei dintorni del nulla e questa è esattamente l’idea che al momento ha la Guardia di finanza: il fantomatico incartamento sarebbe gossip malamente confezionato. Belsito, con sprezzo del ridicolo, invita addirittura a controllare i componenti della band in cui suonava Maroni. Poi spara il botto: «Mi risulta che, da ministro, Maroni sia stato il destinatario di una tangente da 54 milioni di euro in due valigie per l’appalto ottenuto da una multinazionale italiana in Libia». Le pezze d’appoggio? Tanto per cambiare, latitano. Del resto, dettaglio quasi comico, all’italiana, gli 007 sarebbero stati pagati solo in parte, i fondi sarebbero venuti meno e l’inchiesta interna si sarebbe arenata.
«Siamo alla follia - risponde Maroni a proposito della presunta mazzetta - da ministro mi limitai a far applicare un accordo con la Libia. Ovviamente, non ho incassato un centesimo. Ma di che parliamo? Ma che follia è?».
Più articolata la spiegazione sul fronte del mare. «Nel ’97 con due amici ho comprato una barca di 12 metri, pagata 50 milioni di lire. Era un 12 metri». Normale amministrazione. Poi il terzetto cede l’imbarcazione e compra un 15 metri. «Usato anche questo - prosegue Maroni - per un valore complessivo di 120mila euro. Fanno 40mila euro a testa». E allora?
Ci sarebbe il motoscafo intercettato dagli 007 del Carroccio a Portorose.
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