Crolla un altro pezzo di Pompei e si sbriciola anche il buonsenso

Ancora due cedimenti ma stavolta danno la colpa alla pioggia e non al governo. Anche perché chi chiedeva le dimissioni del ministro di ieri è il ministro di oggi

Crolla un altro pezzo di Pompei e si sbriciola anche il buonsenso

Piove e Pompei perde ancora pezzi. Crolli al Tempio di Venere e alla tomba di Porta Nocera. E fin qui nessuna novità. Del resto da quattro anni l'area degli scavi subisce gli implacabili attacchi del maltempo. Piuttosto, la notizia è che per la prima volta è tutta colpa della pioggia e del Mediterraneo surriscaldato. Nessun tiro al ministro dunque, ma ai tartassati Bondi e Galan potrebbero anche girare le scatole. Il primo crollo sabato pomeriggio. Dalla spalletta del quarto arcone sottostante il tempio di Venere si staccano alcune pietre. Nessun ferito, per fortuna non è orario di visite. Come se non bastasse ieri pomeriggio frana il muretto di una tomba della necropoli di Porta Nocera, vicino all'Antica strada. Il muretto, altro un metro e settanta e lungo tre metri e mezzo, serviva da contenimento del terreno in cui erano state poste le sepolture. Anche in questo caso l'incidente avviene in assenza di visitatori. Martedì il neoministro Franceschini dovrà fare il punto coi tecnici al Mibact. «Franceschini che - ricorda Elvira Savino, deputata di Forza Italia - il 10 novembre 2010, proprio lui intervenne in Aula in maniera assai perentoria per chiedere le dimissioni dell'allora ministro per i Beni culturali Sandro Bondi. Se fosse coerente con se stesso dovrebbe dimettersi».
In generale il degrado del sito archeologico di Pompei ha costituito una delle maggiori preoccupazioni dei ministri dei Beni Culturali che si sono avvicendati negli ultimi governi. A partire da Sandro Bondi fino a Massimo Bray. E lo stesso Dario Franceschini, ad appena una settimana dal suo insediamento, deve già fare già i conti con nuovi cedimenti nella città romana sommersa dall'eruzione del Vesuvio del 79 d.C, dal 1997 patrimonio dell'umanità Unesco. Il primo campanello d'allarme arriva il 6 novembre 2010, quando la Domus dei Gladiatori si sbriciola sotto il peso di un tetto in cemento armato e per le infiltrazioni d'acqua. E si scatenano le polemiche su Bondi, ministro dei Beni Culturali nell'allora governo Berlusconi. Bondi si difende, spiegando che se fosse responsabile lascerebbe. Poi, sottolinea che il problema non sono le risorse, ma il modo in cui vengono gestite, chiamando in causa i sovrintendenti. Meno di un mese dopo, il 1 dicembre, crollano due muri della casa del Moralista. Bondi propone il ritorno di una soprintendenza autonoma. Il nuovo ministro, Giancarlo Galan, nel marzo 2011 promette un piano di manutenzione programmata che sfrutti i fondi Ue. A ottobre, però, crolla un altro muro romano, probabilmente per la pioggia, a cui seguiranno nei mesi successivi altri cedimenti. Un anno dopo, arriva il sostegno europeo. La Commissione Ue approva un piano per 105 milioni. I lavori, annuncia il nuovo ministro dei Beni culturali del governo Monti, Lorenzo Orgaghi, partiranno in autunno. Iniziano invece a febbraio 2013. In aprile è il turno del governo Letta. Il neoministro Massimo Bray promette: «Mai più un caso Pompei». Quindi annuncia la nascita del progetto Grande Pompei.

Poi però arriva l'altolà dell'Unesco: il governo ha tempo fino al 31 dicembre per adottare misure idonee per Pompei, denunciando carenze strutturali. Intanto, la pioggia continua a flagellare i resti romani, provocando nuovi cedimenti, fino a oggi. La «patata bollente» passa nelle mani del neoministro Franceschini. Auguri

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