Il vero decatuto è Pier Luigi, tradito e fuori per sempre

Dalle dimissioni ha fallito tutte le mosse. E ora che Franceschini lo ha mollato non conta più nulla

L'ex segretario del Pd, Pier Luigi Bersani
L'ex segretario del Pd, Pier Luigi Bersani

Altro che «un po' spompo», come gli ha affettuosamente mandato a dire Matteo Renzi chiacchierando con i volontari della Festa democratica di Bologna. Mentre il suo partito discute, spesso con un'impazienza che rasenta l'isteria, della decadenza di Berlusconi, Pier Luigi Bersani s'è accorto di essere lui il primo decaduto della legislatura. Avrà ancora il suo seggio a Montecitorio, ma certo è ormai fuori dal ristretto club degli oligarchi che governano il Pd e che in questi mesi si vanno lambiccando sul modo migliore per sopravvivere al ciclone renziano.
La mossa di Franceschini, infatti, non solo è giunta inattesa e ha lasciato di stucco il povero Bersani, reduce da un'intemerata proprio contro le correnti e il correntismo, ma soprattutto lo priva di quella golden share con cui ha continuato a controllare il partito dopo le dimissioni da segretario. In questi mesi, infatti, l'uomo che ha sbagliato un rigore a porta vuota - così nel Pd si parla della sconfitta elettorale di febbraio - è rimasto cautamente nell'ombra per tessere la sua tela.
Ha cercato un candidato anti-Renzi che raccogliesse la maggioranza almeno dei gruppi dirigenti. Ha lavorato per il rinvio del congresso (che peraltro non è stato ancora convocato), per separare la carica di segretario da quella di candidato premier, per un regolamento capace di blindare le primarie. Ha esplorato la strada della riconferma di Epifani, il «traghettatore». Ha provato a convincere Stefano Fassina a scendere in campo, per spaccare il gruppo (già bersaniano) dei Giovani turchi e impedire a D'Alema di far correre la candidatura di Cuperlo. Ha persino accarezzato l'idea, nel caso in cui la legislatura precipitasse, di schierare Letta contro Renzi.
Niente. Ogni sforzo è fallito, ogni manovra è risultata vana. In compenso, un pezzo della «corrente emiliana» - che è il nocciolo duro del bersanismo reale - è passata armi e bagagli (e tessere e coop) con il sindaco di Firenze sotto la guida del segretario regionale Bonaccini. E Cuperlo, che Bersani ha cercato in tutti i modi di boicottare, è oggi l'unico candidato alternativo a Renzi (secondo D'Alema, complementare) rimasto seriamente in campo: su di lui, salvo sorprese dell'ultima ora, sarà costretto a convergere con quel che resta dell'esercito bersaniano.
Il passaggio di Franceschini con Renzi è dunque soltanto l'ultimo episodio di una lunga serie di sconfitte, e segna per dir così la parola fine alla carriera di Bersani come leader nazionale. In realtà, la mossa del ministro per i rapporti con il Parlamento non è affatto sembrata una sorpresa ai conoscitori di casa democratica: Franceschini è stato veltroniano fino al 2008, ha poi retto il partito come vicario promettendo di non ricandidarsi, si è invece candidato contro Bersani nel 2009 e, dopo la sconfitta, s'è accordato per la poltrona di capogruppo e ha condotto una fiera battaglia contro il sindaco di Firenze, dalle primarie fino al mese scorso. Difficile immaginare che la sua carriera si fermi ora.
Il tentativo di derubricare la scelta di Franceschini ad una banale questione di appartenenza - da una parte gli ex popolari, dall'altra gli ex diessini - denunciando addirittura il pericolo di «chiudersi nei recinti», come ha detto ieri l'ultras bersaniano Zoggia, è una prova ulteriore della debolezza dell'ex segretario: con Renzi, infatti, ci sono anche a vario titolo Veltroni, Fassino e D'Alema, che democristiani proprio non sono.


Paradossalmente, ha forse avuto ragione Bersani, l'altro giorno alla Festa democratica, a dire che i 101 franchi tiratori che affossarono l'elezione di Prodi al Quirinale volevano anche, e forse soprattutto, affossare lui (Prodi stesso, del resto, non ha affatto gradito di esser stato mandato allo sbaraglio, e probabilmente è per questo che non vuol più sentir parlare del suo ex ministro delle «lenzuolate»). Ma se è così, se davvero il suo partito è stato pronto ad affondare un padre della patria pur di liberarsi di lui, il Bersani decaduto farà molta fatica a rientrare in campo.

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