Democratici in ordine sparso tutti parlano e nessuno decide

Quando c'erano le correnti, bastava l'accordo fra i quattro o cinque "generali". Ora c'è un gruppo dirigente indefinito, incapace di imporre linea e regole comuni

Democratici in ordine sparso tutti parlano e nessuno decide

Bei tempi, quando c'erano le correnti: almeno si sapeva a chi rivolgersi. Anziché parlare con il segretario politico, come avviene nei partiti normali, si parlava con i quattro o cinque generali in campo e, a volte con successo e altre meno, si provava a trovare un accordo. Ma oggi chi sono i punti di riferimento del Pd? Chi governa quel partito? Come è composto il suo gruppo dirigente reale e, soprattutto, che cosa ha intenzione di fare? Le vecchie correnti non esistono più, e il percorso congressuale rischia di far implodere definitivamente ciò che D'Alema, con parole che oggi suonano eufemistiche, definì «un amalgama mal riuscito».

Di amalgamato, nel Pd, non c'è più nulla: tranne, s'intende, la sua infelice ragione sociale, l'antiberlusconismo. E così, l'unico punto sul quale sono tutti d'accordo è il voto favorevole alla decadenza da senatore di Silvio Berlusconi. Ma le motivazioni sono diverse e anzi opposte: il correntone di maggioranza (per brevità Epifani-Bersani) vuole buttar fuori il Cavaliere per vincere il congresso, mentre Renzi spera così di ottenere le elezioni anticipate e, con esse, la candidatura a premier.

E qui cominciano le difficoltà vere. La prima grande partizione è naturalmente quella fra «renziani» e «antirenziani». Ma si tratta di due blocchi soltanto apparentemente omogenei e, anzi, sempre più disordinati al proprio interno. Emblematica la presa di posizione di D'Alema a favore di Renzi candidato premier: nello schema dell'ex presidente del Consiglio, premiership e segreteria devono però essere separate (come segretario D'Alema vorrebbe Cuperlo); Renzi non vuole ancora decidere ma la gran parte dei fedelissimi sostiene che le due cariche debbano restare unificate, come prevede lo statuto e come si fa nel resto d'Europa proprio per evitare l'instabilità dei partiti e dei governi; e su questa posizione si è ritrovato, proprio in polemica con D'Alema, un dalemiano storico come Nicola Latorre.

Su data e regole del congresso, poi, la lacerazione è tale da sfiorare il ridicolo. Da mesi il segretario Epifani e tutto lo stato maggiore annunciano che il congresso si farà ma non riescono mai a stabilire una data e tantomeno un regolamento. Anche sulle primarie - se e quando e come farle - la confusione è massima: i bersaniani (per bocca di Zoggia) vorrebbero farne a meno in caso di rottura traumatica della legislatura e puntano su Letta candidato premier; per veltroniani, dalemiani e Giovani turchi invece vanno fatte in ogni caso, ma non c'è accordo sulla platea elettorale. Renzi e Veltroni le vorrebbero aperte a tutti, Bersani ed Epifani propongono un tesseramento speciale per parteciparvi, Nico Stumpo suggerisce di limitarle agli iscritti dell'anno scorso...

L'Assemblea nazionale di settembre dovrebbe decidere, ma lo farà soltanto se, nel frattempo, sarà caduto il governo: altrimenti in molti ipotizzano un nuovo rinvio che consenta di spostare il congresso ai primi mesi del 2014. È questa la partita di Epifani, di Bersani e dei suoi fedelissimi, del gruppo degli ex popolari ancora vicini a Franco Marini; altri popolari come Rosi Bindi, però, vogliono il congresso subito esattamente come Renzi, che anzi ha minacciato di andare dal giudice se il congresso non si terrà tassativamente nelle date previste dallo statuto. A favore del congresso subito sono anche i Giovani turchi di Orfini e Fassina, che tuttavia sono divisi al loro interno nella scelta del segretario: c'è chi non ha ancora deciso (Orlando, che nasce veltroniano), chi esita nel sostenere Cuperlo (Orfini, ex dalemiano), chi vorrebbe un accordo con Renzi (il neopragmatico Fassina).

E così entriamo nella sterminata prateria dei candidati alla segreteria: dove i punti interrogativi prevalgono di gran lunga sulle certezze. La candidatura di Cuperlo, per esempio, potrebbe svanire se Barca scendesse effettivamente in campo: ma l'ex ministro continua a girare l'Italia senza sciogliere il mistero. Di Renzi ancora non si sa nulla. Epifani ha detto più volte di considerarsi «un traghettatore», e altrettanto spesso ha fatto filtrare l'intenzione di restare, naturalmente «se me lo chiede il partito». L'ex renziano Civati e l'europarlamentare Pittella per ora sono in campo per rosicchiare spazio in tv e sui giornali, ma potrebbero accordarsi con qualche big sperando magari in un ticket.

Tutto questo gran litigare sul congresso, i candidati, le primarie e lo statuto lascia prevedere che, alla caduta del governo, per il Pd non sarà facile assumere una linea univoca. I renziani vogliono le elezioni anticipate, e lo diranno quando la maggioranza che sostiene Letta andrà in pezzi. Ma gli altri? Paradossalmente, i più convinti sostenitori dell'alleanza con Berlusconi sono coloro che più l'hanno combattuto: il blocco bersaniano, infatti, vede nella sopravvivenza delle larghe intese la strada maestra, se non l'unica, per fermare Renzi, ed è disposto a (quasi) tutto per evitare le elezioni, compreso un improbabile Letta-bis.

Sul fronte sinistro, infine, ci sono i fautori del governo con Grillo, o per lo meno con i suoi transfughi: Civati, Puppato, Casson e i giovani di OccupyPd sognano una rivoluzione italiana con il Cavaliere in galera e il salario garantito a tutti gli altri. Bei tempi, quando c'erano le correnti.

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